LA STRANA STORIA
La targa al portone che rimandava a una sede centrale a Caserta, lo studio bene arredato, con un paio di persone in sala d'attesa, diplomi alle pareti e sfilate di codici e libri di legge sugli scaffali. E poi la parlantina sciolta di «dottori» e «avvocati» dal fare sicuro. Tanto del mestiere da sentenziare: «Le cartelle sono viziate, bisogna opporsi». Il settantenne imprenditore parmigiano che aveva chiesto il parere di quei signori incravattati non aveva motivo di diffidare. Un po' perché si era sentito dire proprio ciò che sperava (specie in anni di crisi) e un po' perché tutto gli faceva credere di essere in uno studio serio, al quale tra l'altro era stato accompagnato da un conoscente di vecchia data.
In realtà, più che a quello di consulenti fiscali era stato portato al cospetto di professionisti di ben altro tipo. Che, oltre ad alleggerire le sue tasche, l'avrebbero trascinato in un incubo giudiziario.
A processo
L'uomo, truffato da chi diceva di volerlo liberare dal fardello di tasse in eccesso, è infatti a sua volta stato accusato di indebita compensazione con crediti inesistenti, in un processo a Napoli che conta 85 imputati, una settantina dei quali gabbati come lui, mentre i presunti consulenti disonesti sarebbero una decina, alcuni dei quali finiti ai domiciliari. Assistito dall'avvocato Andrea Cantoni, l'imprenditore è stato assolto sia in primo che in secondo grado. E così anche gli altri tre nelle sue condizioni, che hanno scelto il rito abbreviato.
Fu un suo fornitore a presentargli i consulenti che a suo dire a lui avevano già ridotto i debiti con l'Agenzia delle entrate. Un paio di settimane dopo il primo incontro, nel giugno del 2016, l'imprenditore venne a sapere che il suo debito tributario poteva essere annullato. Così smise di pagare Equitalia, firmò una procura per il ricorso e versò un anticipo di seimila euro per la consulenza. Di lì a poco gli venne consegnata dal suo fornitore (che non era solo un cliente, ma anche un collaboratore dello studio) una copia dell'«ordinanza» della Commissione tributaria di Parma che avrebbe dichiarato estinto il debito.
Al 70enne, che manifestò qualche perplessità (più che legittima, avrebbe scoperto), fu assicurato che, trascorsi 90 giorni, la pratica sarebbe stata da considerare chiusa. Qualche mese dopo, dallo studio gli furono chiesti altri ottomila euro, e questa volta non ebbe alcuna ricevuta.
I fogli falsi dell'Agenzia
Intanto, gli furono mostrati dei fogli con l'intestazione dell'Agenzia delle entrate che attestavano l'estinzione del debito. Sembrava davvero che la vicenda stesse per chiudersi a fine 2017, quando l'uomo saldò la terza e ultima rata per i «consulenti», staccando un assegno da 7mila euro.
Tuttavia, dallo studio poche settimane dopo gli chiesero le ultime sei dichiarazione dei redditi. «Ci servono dei dati mancanti» fu la spiegazione. Fidandosi, lui acconsentì. Erano gli ultimi giorni di quiete: a febbraio del 2018, all'imprenditore fu recapitato un sollecito di pagamento dell'Agenzia delle entrate con un fermo contestuale dell'auto. Lui pagò subito, per non restare appiedato. E proprio in quei frangenti Luca Monteverdi, suo commercialista di fiducia, allarmato gli rivelò che erano appena state ripresentate da parte di uno sconosciuto intermediario le sue dichiarazioni dei redditi dal 2010 al 2015.
Le dichiarazioni dei redditi
Dalle loro modifiche risultavano debiti tributari inesistenti, che tuttavia erano stati compensati con crediti gonfiati di 576.116,53 euro. Una manovra forse messa in atto per confondere le acque e quasi di certo per chiedere compensi per altre pratiche: peccato per i «consulenti» che ormai il loro castello di carte fasulle stesse crollando.
L'Agenzia delle entrate di Parma, con la quale si era aperto un contraddittorio, capì subito il problema e ristabilì l'esatta cifra del debito, evitando all'imprenditore guai maggiori. Più lunghi invece i tempi perché anche l'aspetto penale della vicenda fosse chiarito. Durante il processo, Cantoni ha sottolineato la buona fede del proprio assistito, accompagnato in quello che sembrava uno studio professionale a tutti gli effetti, buona fede avvallata anche dal fatto che gli fosse stata consegnata la pseudo ordinanza dell'annullamento dei debiti con Equitalia («Che bisogno c'era, se fosse stato un complice?»). Anche le dichiarazioni dei redditi modificate sono state utili all'avvocato per dimostrare l'innocenza del 70enne: «Aumentare i propri debiti con il fisco? Assurdo e palesemente contrario al proprio interesse».
Gli ultimi debiti
Ora l'imprenditore sta saldando i suoi 141.587,73 euro di debito con l'Agenzia delle entrate. A rate e senza più conti lasciati in sospeso da altri.
Roberto Longoni
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