Reportage
Zàhony (frontiera Ungheria-Ucraina) Il Daily sarà pure stato svuotato fino all'ultimo pacco, ma da qui a pensare di viaggiare leggeri ce ne corre. A bordo del camion e del mezzo di polisoccorso del Seirs in modo diverso si è carichi anche al rientro. Poco importa che non si misuri in bancali ciò che si riporta da Zàhony. Nemmeno l'immagine più appagante è immune dal retrogusto di sradicamento, terrore e necessità raccolto a contatto con l'Europa che sanguina.
Non lo è il ricordo dei piccoli profughi che all'unisono con i coetanei ungheresi all'asilo fanno ciao con la mano: quanti di loro hanno il padre al fronte, quanti lo rivedranno? Non lo è l'ospitalità del sindaco Laszlo Helmeczi e dei suoi cittadini da 27 mesi sulla prima linea della solidarietà. Non lo è il grazie ripetuto dei volontari venuti da Uzgorod, per trasbordare gli aiuti parmigiani. Tutto ha origine dalla morte e dalla distruzione e non saremmo qui, se non fosse per un'immonda ferita nella storia.
«Rudolph Balazhincts garantisce assistenza sanitaria e distribuisce pasti anche nelle zone più devastate - spiega Luigi Iannaccone -. Continueremo a collaborare». La determinazione e l'empatia del responsabile ucraino di Family of Christ conquistano alla prima stretta di mano. «Chiedo alle famiglie italiane di immaginare di vivere costrette a fuggire in piena notte senza alcuna certezza di tornare a casa» dice lui, che una certezza ce l'ha: di dover di nuovo aggiornare prima o poi la lista dei conoscenti caduti. «Forse nel vostro Paese solo le generazioni uscite dalla Seconda guerra mondiale possono ancora capirci».
Nei suoi interventi di soccorso (a Bucha, ad esempio) Rudolph racconta di aver visto l'inimmaginabile. Parla di «bambini massacrati dopo essere stati amputati di naso e orecchie». Bambini. Come quelli appena salutati all'asilo, ma nati in un luogo ancora più sbagliato. Un miracolo, che nessuno della sua fondazione sia stato ucciso in questi 27 mesi. «Eppure, abbiamo perso dieci furgoni: alcuni saltati sulle mine, altri distrutti dai droni» dice Rudolph. A salvare i loro occupanti, la tappa «fisiologica» per la quale erano appena scesi a terra.
«Tutto ciò che possiamo portare o inviare sarà utile, e per questo rilanciamo la raccolta di donazioni e di aiuti avviata subito dopo il 24 febbraio 2022 - prosegue Iannaccone -. Oltre a cibo e farmaci, servono carrozzine e stampelle e materiale ortopedico. Ora ci è stato richiesto un apparecchio che rileva nel corpo dei feriti anche le schegge di materie plastiche difficili da rilevare con gli esami radiologici». Intanto, oltre a quelli con Family of Christ, il Seirs ha in mente altri progetti. «Ne stiamo studiando uno per la riduzione dei danni psicologici e fisici dei bimbi» aggiunge il presidente. Ce n'è un altro dedicato ai bambini. «Aiuteremo Zàhony a potenziare le scuole dell'infanzia che accolgono piccoli ucraini. Il nostro impegno continua».
Anche se alla frontiera della stazione a Zàhony tutto sembra normale ora. Dal treno non scendono più ondate di donne, bambini e vecchi in fuga (ma l'esodo potrebbe riprendere, se Kharkiv dovesse cadere). Spaesata di fronte agli orari scritti in alfabeto latino, solo Julia attende l'Intercity delle 9,35 per la capitale. Viene dal confine con la Bielorussia, dove i missili non si risparmiano. Avrà 30 anni, ma l'espressione invecchiata dall'ansia. «A Budapest ho l'aereo per la Grecia» dice. Andrà con un'amica. È stato il marito richiamato al fronte a costringerla a partire. «Vai, tu che puoi. Ci torneremo insieme» le ha detto. Come finirà? viene da chiederle. «Il nostro Paese sarà diviso: non riesco a immaginare i russi che si ritirano» mormora. Altre domande forse la tormentano, ma per quelle non può avere risposta. Si avvia verso il binario, e nonostante lo zainetto leggero fa pensare più a un esilio che a una vacanza.
DAL NOSTRO INVIATO
Roberto Longoni
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