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La morra: giocare «alla morra» o «giocare all'amore»? Un'origine controversa

La morra: giocare «alla morra» o «giocare all'amore»? Un'origine controversa

di Giovanni Petrolini

01 Giugno 2024, 03:01

In un recente passato il gioco della morra ebbe proprio nel Parmense, a Gramignazzo di Sissa, una delle sue capitali. “Ma ciò che rese celebre Gramignazzo per decenni – leggo sulla “Gazzetta di Parma” del 29 settembre 2020 – fu il campionato nazionale di morra… con giocatori in arrivo da tutt’Italia e, in particolare dalla Lombardia dove tra Brescia e Bergamo sono tuttora attivi gli assi della disciplina”. La circostanza mi sembra sufficiente per giustificare qui, proprio sulle pagine della “Gazzetta”, il mio coraggioso tentativo di affrontare il problema dell’origine del nome di questo antico gioco da osteria, presumibilmente antichissimo, conosciuto già dai Romani con l’espressione micare (digitis) (in Cicerone, nel De officiis , 3, 77 per es.), dove la motivazione di micare , che in latino significò più comunemente ‘guizzare, balenare’ non è chiara: forse in riferimento al veloce movimento delle dita che caratterizza questo gioco, o forse, e sottolineo forse, nel senso a mio avviso più probabile, di ‘ammiccare (con le dita)’ ovvero di ‘alludere o accennare (con le dita)’.

Un rebus etimologico

L’etimologia dell’italiano morra (o mora) in questo significato ludico, immortalato dalla menzione che ne fa il Manzoni nel cap. 7 (117) de I Promessi Sposi (“Due bravacci, …seduti a un canto della tavola giocavano alla mora, gridando tutt’e due insieme”) è molto controversa. Per essa si sono espressi anche autorevolissimi storici e linguisti ma con ipotesi francamente poco persuasive. A partire da quella del grande Ludovico Antonio Muratori che vi vedeva un gioco alla maniera dei Mori, cioè degli Arabi (cfr. in Dissertazioni sopra le antichità italiane III vol. 293: “Ho sempre inclinato a sospettare che gl’Italiani abbiano imparato dai Mori o sia dagli Arabi, questo giuoco giacché si dice giocare alla mora, quasi all’ usanza mora”), sino a quella di Giacomo Devoto che pensava ad una davvero improbabile formula di gioco zuca o mora? 'giochi o aspetti'?, di provenienza settentrionale vd. AEI (Avviamento alla Etimologia Italiana, Dizionario etimologico, Firenze 1967) o a quella dell'amico e compianto linguista svizzero Ottavio Lurati che, data la concitazione e la veemenza verbale con cui in questo gioco i contendenti si fronteggiano, vi vedeva una variante lombarda gergalmente scorciata di ‘battere la moresca ‘fare strepito’.

Nel tentativo di risolvere questo rebus etimologico mi permetto qui di avanzare una nuova ipotesi, forse non la peggiore, anzi a mio avviso naturalmente preferibile alle altre, nella misura in cui tiene in maggior conto i pochi sicuri dati di fatto in nostro possesso. Che sono essenzialmente due:

a) che almeno a partire dal Settecento nei dialetti emiliani (parmigiano, reggiano, modenese, bolognese per es.) la locuz. del tipo ‘giocare alla mor(r)a’ conobbe la variante del tipo ‘giocare all’amore’;

b) che se oggi la o della parola mòr(r)a nei dialetti emiliani, come in italiano, è generalmente aperta, nell'Ottocento a Parma (e certamente anche altrove in Emilia e nell’Italia sett., per es. in milanese) doveva essere chiusa, e si sarà detto Sugär a la móra+, come si deduce non solo dal Peschieri, che –si badi bene– sin dalla prima edizione (a. 1828) del suo Dizionario parmigiano-italiano (sotto la voce " mor o mòra " quale nome del noto gioco da osteria) si premurava di sottolineare che in parmigiano la o è "sempre chiusa", ma anche dal Malaspina, che nel suo Vocabolario parmigiano-italiano registra " zugar a l'amòr o a la mòra ", vol. IV p. 466 con la vocale tonica evidentemente chiusa (nonostante la grafia con l’accento grave). Anche il milanese conobbe giugà a la móra vd. Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano , a. 1814 che il poeta Carlo Porta trascrive anche con “giugà a l'amora” 90, v. 20, in particolare nella locuzione giugà a l’amora el fiaa ‘giocare alla mora il fiato’ nel senso di “giocare alla mora senza che vi corrano quattrini o simili", vd. Cherubini cit.

Una nuova ipotesi

La nuova ipotesi che mi permetto qui di avanzare è questa: che l’italiano giocare alla mòrra (antico it. giocare o fare alla mora ) rappresenti la deformazione popolare di un più antico sinonimo dotto del tipo ' giocare all' amore ' che nei dialetti settentrionali (specialmente emiliani occidentali) è ben attestato almeno dal Settecento sino alla seconda metà dell'Ottocento: cfr. per es. il parmigiano “ zugar a l'amor ” 'fare alla mora' (vd. Peschieri e vd. Malaspina); il reggiano zughêr all’amour “giuocare alla mora”, vd. G.B. Ferrari (1832); il modenese zugar all'amour ‘id.’, vd. Muratori cit.; il bolognese zugar al' amour ‘id.’ (vd. G. Coronedi Berti) locuzioni delle quali mi pare che sino ad oggi non si sia tenuto debitamente conto (per pruderie ?) nel tentativo di chiarire l’etimo dell'it. mòrra ’ e di giocare alla mòrra.

A questa ipotesi – diciamolo sùbito – si oppone una difficoltà apparentemente insormontabile. Che le prime attestazioni della locuzione ‘ giocare alla mor(r)a ’ risalgono al XV e XIV sec. (un “ iocare molto bene alla morra ” si legge già per esempio nel quattrocentesco Diario di Tommaso di Silvestro, e un “ gioco della mora ” è nominato persino nel “ Morgante ” del Pulci, XXVII, 23, senza contare poi quel latino medievale ludus morre ‘gioco della morra’ menzionato ad Assisi (PG) nel 1469 e già a S. Anatolia (PG) nel 1324, vd. GLI (Pietro Sella, Glossario Latino-italiano. Stato della Chiesa, Veneto, Abbruzzi , Città del Vaticano 1944, s.v.), cfr. DEI IV 2505. Il tipo ‘ giocare all’amore ’ (per accennare allo stesso gioco da osteria) è attestato invece solo a partire dal Settecento, quando un zugar all'amour nel senso di ‘giocare alla mòrra’ è debitamente segnalato da Ludovico Antonio Muratori come vivo nel suo dialetto modenese.

Il grande storico osservava a questo proposito:

"Mutinenses dicunt giocare all'amore . Nomen corrupisse videntur. Attamen quum interdum amantes nutibus suum animum exprimere soleant, hoc etiam heic adnotatum volui. Galli Italicum hunc lusum appellant la Mourre , Hispani Amorra ".

Traduco: ‘I Modenesi dicono giocare all’amore . Sembra che abbiano corrotto il nome. Tuttavia essendo soliti talvolta gli amanti esprimere il loro animo con gesti, anche questo volli qui che fosse annotato. I Francesi chiamano questo gioco italiano l a Mourre , gli Spagnoli Amorra ’, vd. A. L. Muratori, P. Gherardi, G. Crispi e altri, Vocaboli del nostro dialetto modanese, con appendici reggiana e ottocentesche modenesi , a cura di F. Marri et al. (con un Vocabolario di G. Denti), Firenze 1984, p. 172.

Come può essere – giustamente si chiederà qualcuno – che il tipo ‘ giocare alla morra ’ discenda da un ‘ giocare all’amore ’ se questo è attestato solo molto più tardi di ‘giocare alla morra’? Muovendo innanzitutto da una considerazione metodologica forse non trascurabile. Che, nel tentativo di ricostruire la vicenda di parole (o locuzioni) di tradizione prevalentemente, se non esclusivamente, orale, come non di rado sono quelle dialettali, la data della loro prima attestazione scritta è importante sì, ma non decisiva per stabilire con certezza la loro antichità.

È infatti possibilissimo che quelle parole (o quelle locuzioni) prima di quella data siano state già vive nelle parlate locali senza lasciare tracce di sé in testi scritti. E questo mi sembra possa essere il caso della locuzione ‘ giocare all’amore ’ (nel senso di ‘giocare alla morra’). Anche se attestata soltanto tra Settecento e Ottocento la locuzione dialettale del tipo ‘ giocare all’amore ’ in questo popolare significato ludico da osteria potrebbe essere ben più antica di ‘ giocare alla morra ’ anche se– come si diceva– un latino medievale ludus morre 'gioco della morra' è già documentato. ad Assisi (PG) nel 1469 e a S. Anatolia (PG) nel 1324. Sembra infatti molto improbabile che la disusata locuzione dialettale emiliana (parmigiana, modenese e bolognese per es.) del tipo ' giocare all'amore ' nel senso di ‘giocare alla mòrra’ rappresenti – come vorrebbe il Muratori – una “corruzione”, par di capire, del toscano e italiano ‘ giocare alla mora (o morra) ’. Sarà più facile il contrario. Che cioè giocare alla mor(r)a sia una "corruzione" di un più antico ' giocare all'amore '. Se si esclude infatti l’ Amore con la A maiuscola, l’ Amore di Dio , parola chiave, di centrale importanza nella dottrina e civiltà cristiana, la parola ‘ amore ’ non è comune nei nostri dialetti. Come del resto non è comune il verbo ‘ amare ’ al quale i nostri dialetti preferiscono decisamente ‘ voler bene ’. Le nostre parlate popolari, specialmente settentrionali, semmai usano spesso impropriamente la parola amore parlando di piante, specialmente nella locuzione ‘ andare in amore ’ nel senso di ‘andare in succhio’ travisando evidentemente umore con amore . Negli altri casi in cui i nostri dialettofoni usano la parola ‘ amore ’, la scimiottano per lo più dall’italiano. C’è persino chi sottolinea scherzosamente, ma non senza ragione, che il dialettale parmigiano amór per es. (da segmentare graficamente in a mór ) nella realtà della parlata locale più schietta e popolare, non vuol dire ‘amore’ ma soltanto ‘io muoio’.

Rispetto all’ipotesi avanzata dal Muratori, a mio indegno e modestissimo avviso, sarà insomma più facile il contrario: che cioè la locuzione del tipo ‘ giocare alla mor(r)a ’, per quanto già usuale nel basso Medio Evo come si è detto, rappresenti l’alterazione popolare di una più antica e originaria locuzione dotta del tipo ‘ giocare all’amore ’ (da un lat. *JOCARE AD AMOREM), che sarebbe venuta alla luce della scrittura soltanto tra Settecento e Ottocento, dopo un secolare andamento carsico nella realtà delle parlate emiliane.

Da un originario ‘giocare all’amore’ a ‘giocare alla mora (o alla morra)’?

L’esito di un originario maschile latino AMORE(M) in un femminile e popolare neolatino móra ‘amore’ sarebbe infatti del tutto ammissibile e assolutamente “legittimo” (come direbbero i linguisti). A parte la facilità dell’ aferesi (cioè della caduta della A- iniziale), il cambio di genere (da maschile a femmiile) fu molto comune nelle parole neolatine derivate da sostantivi latini in -ORE(M), tra i quali appunto AMORE(M) ‘amore’ (per il fenomeno vd. Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti , trad. it. Torino, 1968, vol. II § 390). La parola ‘ amore ’, sentita come femminile (così per esempio già prima del 1276 nel pisano Panuccio del Bagno, vd. Franca Brambilla Ageno, Le rime di Panuccio del Bagno , Firenze 1977 e cfr. LEI II, 870), avrà poi presto preso parte a quel comune cambio di declinazione ( metaplasmo o metaplasma direbbero i linguisti) che riguardò molto spesso gli originari sostantivi femminili della terza declinazione latina, i quali, per una maggiore caratterizzazione del genere grammaticale, passarono molto spesso dalla terza alla prima declinazione: cfr. per esempio gli emiliani e lombardi néva ‘neve’ dal lat. NIVE(M), dòta ‘dote’ dal lat. DOTE(M), näva ‘nave’ dal lat. NAVE(M), ecc. ecc. Una locuzione “culta” e originaria del tipo giocare al(l)'amóre (da un originario lat. JOCARE AD AMOREM) avrà potuto insomma risolversi facilmente molto presto in una variante popolare neolatina giocare al(l)' amóra e quindi, per una indebita partizione della parola, in un giocare alla móra (con o chiusa), e finalmente anche in giocare alla mòr(r)a (con o aperta). Già nel dialetto rusticale parmense de “ La carbonaia ” di Giovan Francesco Ugeri (a. 1590) si legge per es. amora in luogo di amore : "la s' é civà an poghetto per me amora " 'si è cibata un pochetto per il mio amore’.

A favorire il molto precoce affermarsi di un tipo popolare neolatino ‘ giocare alla móra ’ in luogo di un precedente dotto e sinonimico ‘ giocare all’amóre ’ sarà stata ad un certo punto anche la necessità, o quanto meno l’opportunità, di evitare l’omofonia con ‘ giocare all’amóre ’ o con ‘ fare l’amóre ’ nel loro più comune significato propriamente amoroso (sino ad un recente passato soltanto affettivo e sentimentale, oggi soprattutto –com’è noto– erotico e carnale). Ma che c’entra l'amore –si domanderà a questo punto qualcuno– in riferimento ad un gioco da osteria come la mòrra che all’apparenza di amoroso non ha proprio niente? Sull’imbarazzante argomento mi riprometto di tornare al più presto.

Giovanni Petrolini

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