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Intervista

La regista Emma Dante e Parma: «Lo sfacciato “Re Chicchinella” all'Arena Shakespeare, la “Giovanna d'Arco” al Regio e l'amicizia con Alessandra Belledi»

La regista Emma Dante e Parma: «Lo sfacciato “Re Chicchinella” all'Arena Shakespeare, la “Giovanna d'Arco” al Regio e l'amicizia con Alessandra Belledi»

di Mara Pedrabissi

09 Giugno 2024, 03:01

Con «Re Chicchinella» il teatro «sfacciato» di Emma Dante torna a Parma, domenica prossima alle 21, sul palcoscenico dell'Arena Shakespeare (inaugurazione martedì e mercoledì con «Tutu» dei Chicos Mambo). La chiacchierata sulle “viscere” di «Re Chicchinella» che ha debuttato in marzo, diventa la chiave per “sviscerare” i temi cari alla regista - che nella prossima stagione firmerà un nuovo allestimento dell'opera «Giovanna d'Arco» di Verdi per il Teatro Regio - fino a scoprire un curioso “dietro le quinte” della “scandalosissima” «Carmen» alla Scala.

Emma Dante, come è nata la fascinazione per questa fiaba nera, dalla raccolta di novelle «Lo cunto de li cunti» di Giambattista Basile (1634)?
«È la terza tappa che affronto del Pentamerone di Basile, e che riscrivo ovviamente, dopo “La Scortecata” e “Pupo di zucchero”. Sono tutte e tre fiabe nere, raccontano storie dolorose. Qui c'è una gallina che decide di alloggiare nel Re, si infila dal suo ano e si installa nello stomaco. Quindi il Re vive una condizione di disabilità, di invalidità e di dolore: l'animale diventa la sua malattia. Ma questo dolore non interessa alle persone che circondano il Re perché, qualsiasi cosa mangi il Re, la gallina dentro di lui depone uova d'oro. Alla corte e alla famiglia reale va benissimo così: la malattia del Re è la loro ricchezza».

Quindi è anche una favola sugli opportunismi, sulle finzioni nelle relazioni?
«Tanti aspetti emergono, a partire dall'anaffettività di questa famiglia. Poi c'è l'avidità e l'inutilità di un potere malato che non porta da nessuna parte».

Ha parlato della famiglia anaffettiva del Re: in una bella, recente intervista ha detto che il suo teatro è «sfacciato» e che la famiglia è «il luogo più pericoloso».
«Sì, lo penso. Purtroppo penso che la famiglia sia un luogo di tensioni, se non di prevaricazioni, che spesso si nascondono, non si mostrano. La famiglia è un posto pericoloso perché crea delle dipendenze. Quando in una famiglia c'è un “titolare”, quasi sempre il maschio, con un modello patriarcale, secondo me c'è un problema perché non c'è il dialogo. Ora non voglio dire che in tutte le famiglie “tradizionali” ci sia un problema; dico che mi fa paura la famiglia in generale, specialmente quella tradizionale dove ci sono tutti i “titoli”, le definizioni, i ruoli; invece credo molto nelle famiglie in cui le persone si scelgono perché vogliono stare insieme in maniera disinteressata senza definizioni».

Torniamo al suo teatro «sfacciato». Non possiamo non ricordare il suo debutto nella regia lirica con la «Carmen» del 2009, apertura della stagione scaligera: regia fischiata, contestata, chiacchierata ma con il pregio di aver lasciato un segno, in tempi “acerbi”, nella narrazione dei femminicidi e della violenza di genere.
«Mi fa solo che piacere perché per me quella “Carmen” fu la rivelazione del mio rapporto con la musica. Venne ripresa dalla Rai, si videro i dettagli e questo fece impressione. Fu un 7 dicembre importante: dirigeva Daniel Barenboim, Jonas Kaufmann interpretava Don José, Erwin Schrott era il torero Escamillo e quella forza della natura di Anita Rachvelisvili era Carmen. All'epoca sovrintendente era Lissner, fantasioso e innovatore: quando mi fischiarono, mi riportò in proscenio come a dire “Se fischiate lei, fischiate me”. In realtà il particolare più sconcertante fu generato da un errore. In quella regia Don José, ossessionato dalla figura di Carmen, alla fine provava a a stuprarla. Kaufmann aveva una pastiglia di finto sangue nascosta nel polsino della camicia che avrebbe dovuto esplodere nel momento dell'uccisione di Carmen con con la “navaja”, il coltello. Ma scoppiò prima del tempo mentre lui cercava di stuprarla e le gambe di Carmen si sporcarono di sangue, quindi questo sangue in realtà andò a macchiare un delitto che non era nel libretto e che così diventava ancora più forte».

E noi lo ricordiamo a distanza di 15 anni.
«Sì perché quell'errore comunque stava dentro un progetto. Semplicemente lo ha enfatizzato».

Curerà un nuovo allestimento della «Giovanna D'Arco» per il Regio...
«Non è ancora stata fatta la conferenza stampa per cui non è corretto che io ne parli ora. È un bellissimo progetto, mi piacerebbe parlarvene in maniera approfondita appena sarà possibile».

Lei si definisce «una teatrante soprattutto, che ama il cinema e ama la musica». Se la immaginiamo una bambina irrequieta, sbagliamo?
«No, affatto. Ero irrequieta e soprattutto sono stata una bambina molto silenziosa. È una cosa che stupisce me per prima: parlavo poco, avevo pochi amici. Alla fine questo silenzio è stato fondamentale, per assorbire evidentemente tante cose che poi sono venute fuori».

Se non avesse fatto «Emma Dante la teatrante» che cosa avrebbe fatto?
«Giardinaggio! Avrei piantato semini, avrei fatto uscire fiori strani!».

La aspettiamo a Parma...
«Ancora una cosa: in questa chiacchierata mi piacerebbe ricordare Alessandra Belledi (tra le fondatrici del Teatro delle Briciole, prematuramente scomparsa il mese scorso, ndr) perché avevo un appuntamento con lei per questo “Re Chicchinella” e ci eravamo dette che ci saremmo viste qui e mi verrebbe da dire che la vedrò... Era una donna molto amata, capace e amata, non solo a Parma».

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