EDITORIALE
L’innovazione tecnologica, se non governata dagli esseri umani, con la sua straordinaria potenza può far tremare la costruzione dei nostri diritti fondamentali e corrodere le pareti dei sistemi democratici. Sarà fondamentale nei prossimi anni vigilare sui percorsi del progresso digitale, soprattutto nell’ambito della tutela della privacy dei dati personali, che rappresentano una ricchezza inestimabile e ancora largamente sottostimata nell’immaginario collettivo.
Ecco perché la Relazione annuale dell’Autorità Garante della privacy, presentata ieri alla Camera dal Presidente Pasquale Stanzione, va vissuta come un’occasione per riflettere sui nuovi equilibri dell’economia digitale e sulla necessità di vivere correttamente l’interazione con le tecnologie, tanto più in considerazione della straripante diffusione dell’Intelligenza artificiale (Ai).
Nella Relazione c’è il bilancio delle succose attività svolte dall’Autorità nel 2023 ma ci sono anche molteplici elementi da approfondire per valutare l’incidenza che la digitalizzazione di attività e funzioni sta avendo sui comportamenti individuali e sulle dinamiche di interazione tra le persone.
Qualche dato può orientare le valutazioni su quanto accaduto negli ultimi dodici mesi in termini di utilizzo delle tecnologie e di salvaguardia degli equilibri socio-economici.
Il 65% dei ragazzi utilizza oggi l’Intelligenza artificiale per svolgere i compiti; due studenti su tre avrebbero preparato l’esame di maturità ricorrendo a ChatGPT, che peraltro, a quanto pare, non sarebbe riuscita a tradurre correttamente il Minosse, o Della legge, attribuito a Platone.
L’Intelligenza artificiale è riuscita persino ad arricchire, con effetti visivi e sonori straordinari, la Turandot rappresentata alla Scala. Inoltre, un’impresa su quattro, nel nostro Paese, ha già integrato l’Intelligenza artificiale nei propri processi produttivi ed entro un anno – si stima – il 60% delle aziende la utilizzerà nei procedimenti assunzionali.
Si ritiene, inoltre, che l’Ai potrebbe sostituire, nei prossimi anni, circa 85 milioni di posti di lavoro creandone, tuttavia, 97 milioni di nuovi, sebbene con un rischio di nuove, ulteriori diseguaglianze, evidenziato con preoccupazione dal Fondo monetario internazionale.
«La continua espansione ed evoluzione dell’Intelligenza artificiale impone dunque di tracciare (e questo è il massimo compito della politica) un limite di sostenibilità, delle colonne d’Ercole da non varcare perché il progresso non divenga, paradossalmente, socialmente regressivo», ha dichiarato ieri Stanzione, che collega questa sua considerazione ai progetti di utilizzo dell’Intelligenza artificiale in campo neuroscientifico, con la realizzazione di decoder «semantici» dell’attività neurale, combinando scansione cerebrale e database di modelli linguistici, come quelli usati da ChatGPT.
Questa affermazione è emblematica dello scenario che potrebbe profilarsi se l’algocrazia (dominio degli algoritmi, quindi piena affermazione del determinismo tecnologico) prendesse il sopravvento sull’algoretica (etica dell’algoritmo) e cancellasse il primato umano nel rapporto con le macchine, trasformando le vite umane in alimento per i voraci algoritmi.
Se questi ultimi non venissero addestrati in funzione della protezione dei diritti individuali, preservando la centralità dell’essere umano, il risultato sarebbe devastante per gli individui, le società, gli Stati, e dunque occorre fare appello al salvifico governo dei dati, che solo un’investitura legislativa dell’Autorità Garante quale soggetto competente in ambito Ai può assicurare. La sfida dell’Ai è anzitutto la battaglia per un utilizzo corretto e costruttivo dei dati personali e sensibili, che costituiscono la risorsa primaria per il funzionamento dinamico degli algoritmi. Di qui la necessità che nel disegno di legge governativo sull’Ai, in discussione al Senato, si valorizzi il ruolo che il Garante della privacy può ricoprire in settori particolari come l’immigrazione o la giustizia, nei quali la potenza algoritmica rischia di amplificare le disuguaglianze rispetto alla fruizione dei diritti fondamentali.
Ma al di là della focalizzazione, prevedibile e opportuna, della Relazione del Garante sul tema dell’Intelligenza artificiale, altre sollecitazioni giungono da quel documento rispetto alla delimitazione dei confini della riservatezza in ambiti assai delicati come quello dell’informazione.
Il diritto all’informazione è un ingrediente indispensabile della democrazia e favorisce la matura e responsabile partecipazione democratica dei cittadini alla vita pubblica, ma va bilanciato con altri diritti ugualmente meritevoli di tutela, in primis la privacy.
«La sfida della democrazia - si legge nella Relazione del Garante - è, infatti, proprio nel coniugare la “pietra angolare” del diritto di (e all’) informazione con la dignità personale (di cui la protezione dei dati è peculiare espressione): tanto più in un ordinamento, come il nostro, dalla vocazione intrinsecamente personalista».
Il riferimento è alla pubblicazione di intercettazioni da parte dei media, con gli inevitabili strascichi polemici che spesso fanno perdere di vista il nucleo essenziale della notizia e alimentano la curiosità morbosa del pubblico senza aggiungere nulla alla completezza della narrazione di una vicenda di interesse pubblico.
Nella Relazione di Stanzione non sono mancate parole puntuali e incisive sul fenomeno degradante dell’hate speech. Particolarmente straziante è risultata la vicenda di Asia, la ragazza insultata in Rete perchè malata, così come, qualche mese prima, quella della ristoratrice che si era tolta la vita dopo l’impietosa e spietata condanna da parte del «tribunale» di Internet.
La degenerazione del clima delle relazioni in Rete non è altro che la proiezione di una morfologia sociale che si fonda sull’allentamento dei vincoli morali e sulla svalutazione progressiva dei dati personali e sensibili come frammenti di un «io» intangibile che andrebbe curato, preservato, valorizzato, in nome dell’irriducibile unicità di ogni singola persona.
Un’Autorità non può da sola invertire il trend nè guidare cruciate morali, ma può tracciare un orizzonte virtuoso, quello del rispetto delle norme e della sensibilizzazione sui temi dell’educazione digitale per convertire il popolo degli internauti ai valori del dialogo, della fratellanza, della solidarietà e per trasmettere un messaggio chiaro e forte: la privacy non è un corollario della personalità ma un elemento inscindibilmente legato alla dignità della persona e meritevole della massima tutela per alimentare la fiducia in un’umanità migliore.
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