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MONDO PICCOLO

1962, quel parroco in Urss come don Camillo

1962, quel parroco in Urss come don Camillo

di Egidio Bandini

23 Luglio 2024, 03:01

Sessantacinque anni fa, sulle colonne del Candido compariva a puntate quello che sarà l’ultimo volume di racconti dedicati da Giovannino Guareschi al Mondo piccolo di Peppone e don Camillo a essere pubblicato prima della morte dell’autore: la cronaca del viaggio in Unione sovietica che avrebbe preso il titolo de «Il compagno don Camillo». Un’avventura straordinaria, vissuta oltre la cortina di ferro dal pretone della Bassa che, narra lo stesso Guareschi, si spoglia della sua «nera scorza» e si traveste da compagno di provata fede, entrando a far parte della ristretta cerchia di «eletti» che seguiranno il senatore Giuseppe Bottazzi in Russia.

Una storia tanto surreale che, come spesso accadde alle vicende inventate da Giovannino (vedi ad esempio quando non volle scrivere del Brusco che sparava con il mitra all’aereo che sganciava volantini propagandistici, per poi leggere sui giornali che uno di questi aerei non solo era stato mitragliato, ma addirittura abbattuto) trovò pochi anni dopo il riscontro nella realtà e proprio alla Bassa. Basta arrivare al 1962 e spostarsi di pochi chilometri da Roncole Verdi, dove Guareschi abitava, per ritrovare un vero «compagno don Camillo». Si tratta di don Francesco Emmanueli, parroco di Chiavenna Landi, una piccola frazione di Cortemaggiore, in provincia di Piacenza. Un prete sui generis, anzi si direbbe, con un pizzico di prevedibilità, un prete alla don Camillo. Don Emmanueli era, di sicuro, un parroco poco comune: estremamente colto, ottimo parlatore e fine letterato, al punto da inviare all’allora vescovo non poche correzioni alle lettere che il presule scriveva nei periodi forti dell’anno canonico. Insomma, un prete scomodo e, per questo, costretto, nonostante le sue indubbie qualità intellettuali, in una parrocchia di poche centinaia d’anime. Ovviamente, accanto alla cultura, conviveva nell’animo di don Francesco, una sana dose di ribellione al voto d’obbedienza e, così, arriva il momento di poter osare oltre il consentito: andare in Russia in piena epoca di guerra fredda. Per il mese di luglio del 1962 un gruppo di persone appartenenti alla borghesia di Piacenza, complici gli auspici di un politico influente, organizza un viaggio in Unione Sovietica e don Emmanueli, non appena ne sente parlare da una delle più assidue frequentatrici della chiesa di Chiavenna, donna Enrichetta da Pozzo, coglie la palla al balzo e, procuratisi non si sa come documenti nei quali non appariva affatto la qualifica di sacerdote, abbandona, proprio come don Camillo la sua «nera scorza» e parte in direzione della Russia. Vestito ovviamente non da prete, ma, come si dice da queste parti, da «cristiano». Nessuno, salvo donna Enrichetta sa che sotto le mentite spoglie di un viaggiatore qualsiasi si cela, in realtà, un parroco alquanto singolare, ma che, come ogni sacerdote che si rispetti, porta con sé tutto l’armamentario necessario, non solo alla lettura giornaliera (ovvero il breviario anch’esso opportunamente camuffato da romanzo assolutamente anonimo), ma anche a celebrare l’altrettanto quotidiano rito della Santa Messa (ovvero calice, particole, pisside, crocefisso tascabile eccetera, il tutto abilmente incorporato in una serie di scomparti mascherati nell’abbigliamento di don Francesco). Tutto esattamente come don Camillo nei racconti guareschiani, con l’unica differenza che don Emmanueli non dovette travestirsi da «compagno», a lui bastarono gli abiti civili e documenti, si direbbe oggi, laicizzati. Se risultava tutto sommato facile la lettura del breviario, dal momento che nessuno osava curiosare tra le pagine del libro che don Francesco teneva aperto dinnanzi a sé, ben più ardua la celebrazione della Messa, che lo avrebbe esposto al rischio di essere scoperto, non certo dai suoi compagni di viaggio, ma probabilmente da qualche casuale osservatore sovietico, magari poco incline alle pratiche religiose. Così il battagliero parroco di Chiavenna doveva inventare giorno dopo giorno come «sbarcare il lunario» della celebrazione eucaristica. Fra levatacce a ore antelucane, escursioni improbabili durante soste in villaggi ben poco ameni e lunghe permanenze nelle toilettes russe, il nostro trovava il modo di adempiere al proprio dovere: esattamente, o quasi, come don Camillo. E come don Camillo il «parroco vestito da cristiano» ebbe anche modo di battezzare un bambino, figlio di genitori cattolici che non avevano la possibilità di trovare un Pope nel loro villaggio in aperta campagna. Insomma, un’avventura guareschiana in piena regola, con tutti gli ingredienti per entrare di diritto nelle favole del Mondo piccolo. Con una differenza, però: il gruppo di turisti di cui faceva parte don Francesco non era sottoposto alla sorveglianza stretta come lo erano Peppone, don Camillo e gli eletti della «cellula spaziale»; così le escursioni fuori ordinanza risultavano in realtà un poco più agevoli o, perlomeno, non così rischiose. Ma una cosa rimaneva per testimoniare l’avvenuta avventura, ed era la cosa più difficile da fare, anche allora, nonostante i primi, timidi segnali di glasnost ante litteram: fare delle fotografie che dimostrassero inequivocabilmente che don Emmanueli era stato in Russia, non in abito talare, ma c’era stato. Scattare liberamente delle fotografie nei luoghi più significativi della Russia o, meglio ancora, della capitale russa: Mosca.

Impresa davvero ardua, ma certamente non tale da preoccupare chi aveva battezzato bambini, letto il breviario e detto Messa ogni giorno. Così eccolo don Francesco, in abito simulato, avrebbe scritto Guareschi, di fronte ad una delle torri del Kremlino e ancora, quasi al limite dell’inquadratura sulla sinistra, accanto al mausoleo di Lenin. Nessuno ha scritto dell’avventura sovietica di don Francesco Emmanueli, e il Vescovo non gli ha promesso di crearlo Monsignore dopo l’impresa, come accadde a don Camillo; ma le fotografie sono ancora qui, dopo 62 anni, a raccontare di come una delle tante storie inventate da Giovannino Guareschi abbia potuto, in fondo, diventare vera, come questa del «compagno don Francesco», che porta sul retro delle piccole stampe in bianco e nero scritta in bella grafia la data: 22 luglio 1962.

Egidio Bandini

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