Pallavolo
Italia-Usa, la finale olimpica che vale l'oro, è praticamente la «sua» partita. Alessia Gennari è stata infatti protagonista degli ultimi successi azzurri (l'ossatura della squadra di Velasco è sostanzialmente quella che vinse il titolo europeo nel 2021, la Vnl e un bronzo mondiale l'anno successivo), ma è anche la prima giocatrice italiana ad aver firmato per una squadra (Austin) della neonata lega professionistica americana, avventura che per lei inizierà a novembre. Ma a legare la schiacciatrice parmigiana e le due nazionali finaliste di Parigi 2024 sarà la presenza in campo, domani, di diverse giocatrici che insieme a Gennari hanno regalato a Conegliano la favolosa doppietta scudetto-Champions: Fahr, De Gennaro e Lubian da una parte, Plummer e Robinson dall'altra. «Giocare una finale di Champions e, tre mesi dopo, un'altra alle Olimpiadi non è affatto male» riflette Alessia. «A Conegliano abbiamo vissuto momenti indimenticabili, sono felice per loro: la classe e la qualità delle interpreti è assolutamente indicativa dello spettacolo che questa finale potrà regalarci».
Alessia, proviamo a «giocarla» assieme Italia-Usa. Partiamo dalle azzurre.
«L'Italia non ha mai concluso una partita al tie break e già questo è un segnale di solidità, capace di marcare la differenza rispetto alle altre rivali, che hanno avuto tutte un rendimento altalenante. Non mi sembra ci sia una squadra che possa mettere in difficoltà le nostre: sul piano del gioco avrebbero potuto farlo Cina e Brasile, ora però fuori dai giochi».
Cosa le piace di questa Nazionale?
«È una squadra che riesce a gestire in maniera più efficace le palle brutte, soprattutto in fase di contrattacco: invece di affidarsi ad una soluzione forzata, cosa che in passato portava all'errore, le azzurre gestiscono in maniera più efficace le palle brutte, specie in fase di contrattacco, magari facendo un pallonetto in più e rigiocandola contro il muro».
Cosa è cambiato rispetto al passato?
«Sono almeno tre o quattro anni che, ad ogni competizione, l'Italia parte con l'etichetta della squadra da battere. A Tokyo, così come al Mondiale, c'era la consapevolezza che la nostra Nazionale fosse un gradino sopra le altre. Bisognava semplicemente trovare la via giusta per dimostrarlo. Le ragazze stanno facendo un cammino straordinario: sono già nella storia».
Quanto ha inciso, in questo percorso netto alle Olimpiadi, la «mano» di Julio Velasco?
«I meriti del c.t. sono sotto gli occhi di tutti: Velasco è una guida. Le ragazze di lui si fidano, lo seguono, lo rispettano: era l'unica cosa che mancava all'Italia per compiere il salto di qualità. Velasco non è che abbia inventato chissà quali schemi: ha stabilito dei ruoli e messo un po' di ordine, com'era giusto fare. Le sue scelte, benché da qualcuno considerate forti, sono state basate sul merito, su ciò che lui ha visto nel corso della stagione e della stessa Vnl. Penso a Cambi, che non era più nel giro azzurro da alcuni anni, o alla stessa Giovannini: non so quanti altri selezionatori l'avrebbero convocata, in questo momento».
Nel terzo set contro la Turchia, lo strappo finale è stato propiziato da Sarah Fahr.
«La cosa non mi stupisce affatto: con Sarah ho giocato insieme due anni a Conegliano, a tratti sembra davvero inarrestabile. In allenamento, quando mi ritrovavo ad attaccare il suo muro, l'unica cosa che pensavo era di non tirare in diagonale, perché ero sicura che la palla non sarebbe passata. Sarah è una ragazza molto determinata: merita il meglio. Lo stesso vale per tutte le altre».
Come vede invece gli Stati Uniti?
«Non hanno espresso il loro miglior gioco e per questo, onestamente, non pensavo potessero arrivare in finale. Coach Kiraly è partito con Kelsey Robinson per poi, dopo una partita, puntare su Skinner e Plummer titolari. Con loro in campo, il sestetto statunitense è certamente più fisico ma meno preciso in ricezione e in difesa. Parliamo quindi di una squadra diversa da quella con tante insicurezze che aveva affrontato l'Italia in Vnl, perdendo nettamente. Inoltre loro sono le campionesse olimpiche in carica e hanno giocatrici esperte. che sanno come affrontare certe partite».
Alessia, lei di finali in carriera ne ha giocate tante. E sa che sfuggono ad ogni pronostico.
«Però, e lo dico mettendo da parte la scaramanzia, l'Italia ha tutte le carte in regola per portare a casa la medaglia d'oro. Ha un sistema di gioco superiore alle altre ed è in fiducia. Queste finali si giocano soprattutto sui nervi, ma noi abbiamo un'arma che può far male alle statunitensi: il muro. Finora ha sempre fatto la differenza».
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