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Oggi i funerali

La mamma del bimbo di Gaza morto a Parma: «Perdonami, non sono riuscita a salvarti»

La mamma del bimbo di Gaza morto a Parma: «Perdonami, non sono riuscita a salvarti»

di Mara Varoli

12 Agosto 2024, 03:01

«Perdonami Seifeddin, perché non sono riuscita a salvarti». Piange mamma Sabrin e noi con lei. È seduta sul divano nella casa della famiglia palestinese che la ospita. Lo sguardo a terra riprende luce solo per accarezzare l'altro bambino, Yousef che ha in mano un piccolo trattore. Seifeddin invece di giochi non ne ha mai avuti: solo un pigiama in sei mesi e otto giorni di vita. «Figlio» di Gaza, ha conosciuto solo la guerra ed è morto all'ospedale di Parma giovedì in quel lungo viaggio della speranza, per curare a Milano il suo cuoricino malato.

E Yousef che il fratello Seifeddin non c'è più non lo sa ancora: «Non ho il coraggio», sussurra la mamma. Ma oggi ci sarà il suo funerale al cimitero islamico di Valera e forse anche se ha solo tre anni qualcosa capirà.

Ventisette anni, Sabrin vive a Deir Al Balah, dove è nato il suo piccolo Seifeddin Mohammed Yehya Barakeh. Aveva una bella casa e suo marito da contabile guadagnava 250 euro al mese: «Una vita normale la nostra - continua -, ma felice. Anch'io prima di avere i figli lavoravo: ero impiegata in un laboratorio di analisi mediche. La guerra ha distrutto ogni cosa e la nostra casa, così con poche valigie ci siamo trasferiti in un negozio abbandonato, ma sempre pronti per spostarci, tant'è che ora mio marito, a cui è proibito uscire da Gaza come a tutti gli uomini, vive in tenda e non lo vedo dal marzo scorso. Si sopravvive solo con gli aiuti. Anche i soldi che avevamo messo via per il domani sono finiti. I prezzi sono andati alle stelle e tutta la popolazione sta morendo di fame: non è possibile comprare cibo, la carne non esiste più. Al massimo si possono avere farina e zucchero. È poi molto pericoloso uscire per strada, per cui è meglio rimanere al riparo per evitare le bombe».

Seifeddin è nato a gennaio?

«Sì, in ospedale. Ero così felice di avere un altro bambino, ma poi è cambiato tutto con la guerra: a Gaza non c'è più niente, né scuole e nemmeno le medicine. Ho paura. Anche l'ospedale della mia zona ha smesso di funzionare. Viviamo nel terrore perché in qualsiasi momento può cadere una bomba e le persone possono morire o rimanere senza gambe o senza braccia».

Quando Seifeddin è nato stava bene?

«Sì, stava benissimo. Ma dopo un po' di tempo il suo cuore ha cominciato ad avere dei problemi. In tanti si sono ammalati per colpa delle bombe chimiche. In più, in guerra non si dorme mai e si è sempre svegli. Quando abbiamo avuto i risultati delle prime analisi, i medici hanno capito che il mio bambino aveva bisogno di un intervento e che doveva essere trasferito in un ospedale di un altro Paese, perché a Gaza gli ospedali che ancora sono in piedi sono tutti affollati. L'attesa è stata lunga e la situazione di Seifeddin si è aggravata perché per un lungo periodo non ha ricevuto cure. In più, non avevamo i passaporti. Solo quando sono arrivati i permessi siamo stati trasferiti all'ospedale del Cairo. Era il 19 marzo e purtroppo anche in Egitto abbiamo dovuto aspettare prima di avere delle cure. Finalmente è arrivato il giorno dell'ecografia e si è scoperta la complicanza al cuore. E dopo 4 giorni lo hanno operato, ma durante l'intervento ha perso molto sangue. Così Seifeddin è finito in Rianimazione con la respirazione artificiale».

Com'è arrivata in Italia?

«Un giorno sono stata contattata da un'organizzazione umanitaria, che si occupava di casi gravi e siamo partiti in aereo insieme ad altri bambini e ad altre mamme per Bologna. Seifeddin doveva essere trasferito all'ospedale di Milano. Ma già quando siamo scesi dall'aereo i medici hanno capito che era grave. Partiti d'urgenza verso Milano, io dietro su un'altra auto, all'altezza di Parma ha avuto un arresto cardiaco. Hanno cercato tanto di rianimarlo. E alle 23 di giovedì eravamo all'ospedale Maggiore di Parma. Solo mezz'ora e poi Seifeddin non c'era più».

Come vede il vostro futuro?

«Devo andare avanti, soprattutto per Yousef. Devo andare avanti nel dolore. Seifeddin ci ha fatto fermare a Parma e forse c'è un perché».

Quale la sua preghiera?

«La mia preghiera è per tutti i bambini di Gaza che hanno perso il diritto di vivere, di studiare e di avere un futuro. Tanti sono orfani e vivono in strada o da persone che non conoscono. Vorrei che Seifeddin fosse un richiamo alla pace».

Un pensiero all'Italia?

«Ringrazio l'Italia e lo Stato per quello che hanno fatto per mio figlio, per averci dato la speranza e ringrazio l'ospedale Niguarda di Milano e il Maggiore di Parma per aver cercato di salvarlo. Purtroppo non ha avuto fortuna. Il mondo - chiede mamma Sabrin - cosa aspetta a salvare i bambini di Gaza?»

Mara Varoli

© Riproduzione riservata

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