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Scienziati di Parma in campo per il trapianto di rene del maiale

Scienziati di Parma in campo per il trapianto di rene del maiale

13 Agosto 2024, 03:01

Anche Parma darà il suo contributo a tagliare un nuovo traguardo della medicina: il trapianto di rene di maiale sull'uomo. Lo studio di un team di scienziati della nostra Università sarà pubblicato sul prossimo numero di una delle più prestigiose riviste internazionali di nefrologia.

Osservazioni che, forse, avrebbero potuto salvare la vita di un uomo e che sicuramente contribuiranno ad affinare la tecnica del trapianto. Comunque, una grande soddisfazione sul piano scientifico quella ottenuta da Riccardo Percudani, professore ordinario di Biochimica e Bioinformatica del Dipartimento di Scienze chimiche, della vita e della sostenibilità ambientale dell'Università di Parma e dal suo staff, composto dall'antropologo molecolare Cristian Capelli, dalla dottoranda Giulia Sassi e dalla ricercatrice a tempo determinato Giulia Mori.

Tutto inizia nel marzo scorso, quando l'attenzione di Percudani e dei suoi collaboratori viene attirata dalla notizia del primo trapianto di rene da maiale a uomo, eseguito negli Stati Uniti al Massachusetts General Hospital dall'equipe di Tatsuo Kawai, professore di chirurgia all'Harvard Medical School. A ricevere il rene di maiale geneticamente modificato con la tecnica Crispr è stato l'americano Richard Slayman, 62 anni, deceduto due mesi dopo l'intervento, spiega il docente, “per ragioni non ancora comunicate ufficialmente ma apparentemente non direttamente collegate all'intervento”.

“Quando ho letto la notizia di quel trapianto che ha avuto una vasta eco sui media - spiega Percudani - la prima domanda che mi sono posto è stata: “Come hanno risolto il problema dell'acido urico?”. Perché di questo tipo di trapianto si parlava già vent'anni fa e non riusciva perché c'era il rigetto immediato dell'organo.

A tale proposito nel lavoro degli scienziati parmigiani si legge che “tra l’uomo e la maggior parte dei mammiferi placentati esiste una differenza cruciale nel metabolismo dell’acido urico, un composto poco solubile gestito in modo diverso dai reni dell’uomo e del maiale. Questa differenza deriva dalla perdita di un enzima chiamato uricasi e della via di degradazione dell’urato nei nostri antenati “ominoidi”, avvenuta oltre 20 milioni di anni fa. Di conseguenza, gli esseri umani e le scimmie antropomorfe hanno livelli di urato nel sangue molto più alti rispetto ad altri mammiferi, incluso il maiale. Sebbene potesse essere vantaggioso per i nostri antenati, un alto livello di acido urico oggi rappresenta un rischio”. Negli esseri umani e nelle scimmie antropomorfe, “la maggior parte dell'urato filtrato dal rene viene riassorbita lungo il nefrone. Questo meccanismo mantiene i livelli di urato nel sangue vicini alla soglia di solubilità e rappresenta un rischio di precipitazione nelle articolazioni, causando la gotta. Anche se dolorosa, questa condizione non è pericolosa per la vita, a differenza della precipitazione dell'urato nei reni, che può portare a insufficienza renale. Questo delicato equilibrio è evidenziato dai calcoli e dall’insufficienza renale nell’ipo-uricemia ereditaria”. Stabilito che “il rene umano è adattato a tollerare livelli elevati di urato, a differenza di altri mammiferi”, la domanda è: “Come il rene di maiale potrà gestire i livelli di urato umano?”.

Ma chi ha lavorato al “caso Slayman” ha affrontato questo problema? Percudani e i suoi colleghi se lo sono continuati a chiedere ricordando anche “un articolo di un medico inglese sul Guardian dal titolo ”I maiali non hanno la gotta”. Poi, però, aggiunge il professore, “mi sono andato a leggere tutta la letteratura che avevano pubblicato in quei giorni sull'argomento e ho trovato un articolo in cui spiegavano cos'avevano fatto al maiale per renderlo compatibile”. Del problema dell'acido urico non c'era traccia. “Con i miei collaboratori abbiamo allora pensato di scrivere al chirurgo chiedendo se ne era al corrente”. Nel giro di due giorni è arrivata la risposta del luminare americano che ha ammesso che “non ne sapevano niente” ma che “avrebbero tenuto monitorata la situazione”. A quel punto valeva la pena anche informare la comunità scientifica, “quindi, abbiamo scritto un lavoro piuttosto breve che racconta tutta la storia delle differenze tra l'uomo e il maiale sullo xenotrapianto sottolineando cosa può avere un impatto sul rene trapiantato, quali sono i problemi e come risolverli”.

Anche la rivista “Jasn” (Journal of American Association of Nephrology), una delle principali del settore, “ci ha risposto. Ironia della sorte, il giorno dopo che il paziente è morto”. Ma le osservazioni degli scienziati dell'Ateneo di Parma, ora già disponibili sul sito web della pubblicazione, a settembre appariranno anche sull'importante mensile scientifico.

“Il nostro articolo si intitola “Perspective” - conclude Percudani -, perché si tratta di una riflessione in prospettiva che informa del problema. Suggeriamo infatti che sarebbe utile “fare” un maiale che abbia inattivata la via metabolica in modo da vedere come reagisce questo rene a livelli elevati di acido urico, prima di andare nell'uomo. Un punto della situazione a cui altri non avevano pensato perché, a differenza nostra, non avevano informazioni evolutive sufficienti. Pur avendo tenuto presenti molti aspetti, si erano “persi” la differenza fisiologica tra uomo e maiale. Lo stesso professor Kawai ci ha ringraziato per le nostre osservazioni”.

r.c.

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