Intervista
È stato tra i protagonisti della prima puntata del talent show dedicato al mondo del rap, andato in onda su Netflix qualche mese fa, «Nuova Scena». Ora Glauco (all’anagrafe Gianmarco Borettini) è tornato con un nuovo singolo. Mantovano di nascita ma parmigiano d’adozione, l’artista, classe 1998, ha scelto come titolo «339»: «Il mio produttore Luigi Bordi - spiega - mi ha proposto di lavorare su sonorità differenti da quelle a cui ero abituato. Siamo partiti da questa prospettiva per dare vita al singolo; così, mentre lui preparava la base, io ho iniziato a scrivere».
Soddisfatto del risultato?
«Il ritornello si è sviluppato in maniera spontanea: “Baby chiama il 339”. Ovviamente sono le prime cifre del numero di un cellulare. Poi ho costruito le strofe girando intorno al tema principale. L’idea di base è raccontare una storia, come se stessi flirtando con una ragazza in una serata qualunque, una di quelle che capitano soprattutto d’estate: parliamo, le racconto un po’ il mio mondo e poi le lascio il mio contatto».
Ma c’è di più nel testo.
«Certo. Oltre al tema dell’ “approccio” ho giocato con le parole, toccando talvolta anche il tema sociale. Il concetto di fondo è quello di telefonarmi al “339” perché io rispondo a tutti, indipendentemente dall’età o dall’etnia».
Curioso girare il video in una cabina retrò…
«L’idea è nata da un confronto con il mio team: Tommaso Galloni, Ilenia Luzzara e Luigi Bordi. Tutto registrato con il grand’angolo in un'atmosfera vintage: volevo evidenziare un ritorno al passato, esaltando la possibilità di chiamare per creare un contatto diretto con le persone».
Come procede, intanto, la sua estate dal punto di vista professionale?
«Sto preparando tanto materiale per dare vita a un percorso che comprende anche “339”. E poi i live: all’ Ombre Discotheque e alla “Festa del Lambrusco” a Viadana oltre che in provincia di Modena, al Limo Club di Pavullo. “Nuova Scena” mi ha permesso di essere conosciuto al di fuori di quelli che sono i confini dei territori dove sono cresciuto».
Come è cresciuta, invece in lei, la passione per il rap?
«Ho sempre sentito la necessità di esprimere ciò che sentivo, sin da quando ero piccolo. All’epoca lo facevo scrivendo le mie emozioni su un diario. Poi ho iniziato a mettere in rima ciò che era su carta. Infine ho cominciato a fare freestyle. Per ore e ore. Da solo, in camera mia».
Cosa l’ha conquistata di questo genere musicale?
«Il rap eleva l’individuo. Porta una persona a raccontare problemi, quotidianità, pregi e difetti, dando spunti su cui riflettere a se stessi e agli altri. Le rime, l’istantaneità nella comunicazione e la velocità di linguaggio mi hanno sempre affascinato. Da qui è nata la mia scelta».
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