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LA STORIA

Il medico parmigiano Michelangelo Craca rianima una persona che sta annegando

Il medico parmigiano Michelangelo Craca rianima una persona annegata

24 Settembre 2024, 03:01

Tre metri sotto il pelo dell'acqua, imprigionato in una cima, lo sconosciuto aveva smesso di agitarsi e di respirare. Ancora pochi secondi e avrebbe smesso di vivere. «Help, help, aiuto!» la fidanzata gridava e si sbracciava disperata, vedendolo immobile dal bordo della barca. Mare piatto, cielo senza una nube, silenzio assoluto: sembrava impossibile che in quella baia da sogno potesse compiersi una tragedia. E invece, se in questa storia c'è un lieto fine è solo perché su una barca a una trentina di metri di distanza, si trovava l'uomo giusto al posto e al momento giusti. Michelangelo Craca, medico impegnato anche con il 118, tra un mese concluderà la specializzazione in Anestesia e rianimazione al Maggiore, ma a suo dire la chiave di volta non è stato il camice che indossa in ospedale. Schivo e quasi imbarazzato a dover parlare di sé, lui ci tiene a sottolineare: «Non sono affatto un medico eroe o qualcosa del genere. Chiunque ben formato, anche un laico, grazie a una preparazione di primo soccorso, sarebbe stato in grado di fare la differenza per quella persona». E qui la differenza è stata tra la vita e la morte che sembrava averla già vinta.

Era il 27 agosto. Craca, nato a Lecce 34 anni fa, ma da sedici a Parma, dove ha compiuto gli studi universitari e specialistici («Sono stato fortunato ad avere avuto una serie di “strutturati” che mi hanno insegnato molto» sottolinea), in vacanza a Zante, quel giorno era uscito con una barca a noleggio, per fermarsi in una baia riparata dell'isola dello Ionio greco. All'improvviso, dallo scafo vicino al suo si sono levate le urla. «Saputo che eravamo italiani, una donna gridava che il fidanzato non riusciva a riemergere». Craca, che ha conseguito anche il brevetto di salvamento in mare con la Croce rossa, indossata una mascherina per vedere sott'acqua, si è tuffato e con poche bracciate ha raggiunto la barca vicina: l'uomo da salvare era sotto. Provando a disincagliare l'ancora incastrata tra gli scogli cinque metri più in basso, aveva impigliato una gamba nella cima, a un paio di metri dal fondo. Nei tentativi sempre più convulsi di liberarsi, era stato lui stesso poi a intrappolarsi.

«Con due ragazzi greci arrivati da un'altra imbarcazione – racconta il medico parmigiano – abbiamo provato invano a liberarlo, ma la cima era troppo tesa: salito in barca, l'ho liberata dalla bitta a prua. Allentata la matassa, gli altri sono riusciti a riportare in superficie il signore che non dava più segno di vita. Il cuore era fermo». La spiaggia era a un centinaio di metri: i tre soccorritori hanno portato l'uomo all'asciutto. E qui Craca ha dovuto prendere in mano la situazione, qualificandosi come medico, soprattutto dopo che i due avevano proposto di provare a «risvegliare» il malcapitato con dei getti d'acqua in faccia: come se non ne avesse avuta già abbastanza... «L'ho sottoposto a tre cicli di massaggio cardiaco da trenta compressioni l'uno, fino a che non ho visto il collo cominciare a muoversi per un conato. Nel frattempo, ho sentito che il cuore riprendeva a pulsare. A questo punto, ho girato il signore su un fianco, perché potesse espellere l'acqua. Non finiva più, i polmoni erano pieni».

Impossibile avvisare la Capitaneria o chiunque altro: la baia è priva di copertura telefonica. Tuttavia, nemmeno nella seconda fase si sarebbero potuti immaginare soccorsi più celeri. Richiamato dai gesti delle persone in spiaggia e sulle barche vicine, un gommone si è spinto fino sulla battigia, per caricare l'annegato su un tubolare. Poi, durante la corsa verso il porto, si è finalmente riusciti a chiamare l'ambulanza. «Al nostro arrivo – racconta Craca – era già lì. Saputo che cosa era accaduto, l'infermiera mi ha chiesto di andare con loro». E così, il paziente è stato accompagnato in ospedale da un medico a torso nudo e in bermuda ancora sgocciolanti, anziché nel camice d'ordinanza.

«È in ambulanza che quell'uomo ha riaperto gli occhi. Gli ho chiesto di mostrarmi la lingua e di muovere le mani. Dalle sue risposte, ho capito che non deve aver subito danni neurologici per il mancato afflusso di ossigeno al cervello». Solo in ospedale dalle labbra del salvato è affiorato un «grazie» pronunciato con un filo di voce, mentre le dita facevano il segno che in un secondo tempo ci sarebbe stato molto più da dire. «All'internista sono bastate poche occhiate (e anche la “tenuta” del collega italiano avrà avuto il suo peso per determinare l'emergenza, ndr) per capire la gravità della situazione». Subito è stato disposto il ricovero in rianimazione, dove il signore, un quarantenne lombardo, è rimasto fino a tre giorni fa. Dal buio di quei minuti senza respiro sott'acqua sembra essere uscito senza conseguenze. Il medico da Zante ha riportato ricordi che non lo abbandoneranno più. «Anche il calore della gente: incredibile come si sia sparsa la voce... “Iatròs, fatti un pomeriggio in più: offro io” ha insistito il proprietario del noleggio delle barche». Che vacanza, per il rianimatore Craca: «lavorare» è stato quanto di meglio potesse fare.

Roberto Longoni

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