Intervista
Alexander Gadjiev, 30 anni da compiere in dicembre, è un po' il «Sinner del pianoforte»: vuoi per l'atmosfera di confine, mitteleuropea, in cui è cresciuto nella sua Gorizia; vuoi per il talento cristallino e disciplinato (per la tastiera, non per la racchetta) che lo ha portato in vetta al Premio Chopin dove un italiano non vinceva da 64 anni.
La chiacchierata con Gadjiev - via Whatsapp, mentre si muove per Berlino, città dove si è fermato a vivere dopo gli studi - diventa l'occasione per guardare la musica classica con occhi giovani. Oggi arriva a Parma. Inaugurerà la stagione sinfonica della Toscanini con il concerto «Storie d'amore senza fine» (domani e venerdì al Paganini, ore 20.30). Nel segno dei giovani: oltre a Gadjiev, sul podio della Filarmonica ci sarà il 34enne direttore bielorusso Dmitry Matvienko. In programma Brahms e una selezione dalle tre Suite del «Romeo e Giulietta» di Prokof’ev.
Gadjiev, non si può che partire dal Concorso Chopin di Varsavia dove ha vinto, nel 2021, il secondo premio e il premio speciale Krystian Zimerman «per la miglior esecuzione di una Sonata». L'ultimo italiano a vincere era stato Maurizio Pollini, nel 1960...
«È stata una grande emozione, anche imprevista. Mi ero preparato molto però poi, quando uno partecipa, non sa cosa succederà; per cui è stata una gioia unica, per me e per la mia famiglia che mi ha accompagnato e ha condiviso ogni istante».
Lei è di Gorizia, città di confine; è stato anche nominato “ambasciatore di Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025”. È un po' il Sinner del pianoforte...
«Papà è nato a Baku, in Azerbaigian, poi ha vissuto in Russia, ora è cittadino italiano. Mamma è slovena, io sono nato a Gorizia, città di confine come giustamente ha detto, che il prossimo anno avrà la fortuna di condividere l'avventura di Capitale della cultura con la vicina Nova Gorica: ci saranno moltissimi scambi e moltissimi eventi, io sono appunto anche un simbolo, se vogliamo, proprio per queste mie origini “mescolate”. Gorizia è molto orgogliosa e felice di poter sfruttare questa occasione, ci stiamo preparando».
Avere in sé incroci di culture e di terre è una grande ricchezza.
«Sicuramente. C'è da dire che a volte non è semplice, nel senso che si ricevono moltissimi stimoli di natura diversa. Pensiamo solo alle lingue diverse. Ora parlo cinque lingue - italiano, russo, sloveno, inglese e tedesco - ma da bambino, quando non sei ancora formato, ti confondi. Però già da piccolo ti abitui a vedere il mondo da varie prospettive e questo ti dà un ampio margine di scelta, anche nel percorso di studi».
È più facile capire gli altri, forse, con una tale apertura di vedute, a volte ci chiudiamo perché ignoriamo...
«Già il fatto di conoscere varie lingue è un aiuto determinante. Oggi noi giovani comunichiamo facilmente in inglese. Però mi accorgo che, non appena uno conosce la lingua madre dell'altra persona, la comunicazione diventa immediatamente più naturale, empatica. Ai giovani consiglio di imparare le lingue: non solo è indispensabile ma anche un bellissimo modo di impiegare il proprio tempo».
Veniamo al programma del concerto.
«Suonerò nella prima parte, dedicata all'imperioso Concerto n.1 per pianoforte di Brahms. Direi che è un ottimo modo di aprire la stagione, soprattutto con due giovani ospiti. Intanto il Concerto, in gestazione per molti anni, è stato scritto da un giovane Brahms. Stupisce sapere che l'ha iniziato a comporre appena 22, 23enne, misurandosi con una forma enorme che aveva già raggiunto l'apice con Beethoven. Il Concerto era nato come Sinfonia ma poi Brahms non è riuscito a “liberarsi” del suo amato pianoforte, di cui era ottimo esecutore, e lo ha introdotto nella tessitura orchestrale. Così abbiamo questo questo Concerto veramente molto particolare perché il pianoforte non solo ha ruolo da solista nei 50 minuti ma ha anche un ruolo più interiore, all'interno dell'orchestra. Chiaramente ci sono atmosfere molto diverse nei tre movimenti, dall'enormemente drammatico del primo tempo al sublime quasi religioso del secondo al finale impazzito, sbizzarrito e abbastanza popolaresco, in un certo senso “zingarese” che conclude il concerto in maniera assolutamente trionfale».
La classica sconta il cliché di essere musica per la terza età. Come farla apprezzare ai ragazzi e alle ragazze di oggi?
«Ci penso spesso anch'io. Ci vogliono le condizioni e la realizzazione. Intanto occorre creare delle situazione in cui i giovani si sentano meno “obbligati”. Ci sono dei concerti serali che hanno una loro sacralità, eleganza e che a me piacciono; poi però ci potrebbero anche essere situazioni alternative, in orari diversi e luoghi diversi o nello stesso luogo reso in maniera un po' diversa. Così accade per esempio in Germania, dove vivo. Poi però penso che la cosa più importante in realtà sia l'esecuzione in sé: quando abbiamo un'esecuzione davvero travolgente, cadono le barriere. Quindi abbiamo bisogno anche di musicisti che osino rischiare: allora anche lo spirito più giovane sarà sicuramente coinvolto e rapito».
L'abbiamo paragonata a Sinner, ma magari le piace di più Djokovic.
«(Ride)... In realtà seguo poco lo sport e il tennis. A me piaceva molto Federer, per la sua eleganza e per la sua destrezza. Ma il paragone con Sinner lo prendo, certo».
Mara Pedrabissi
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