Public Money
La lunga risacca di Public Money porta l'assoluzione con formula piena di Aldo Torchiaro, giornalista (Riformista e Tempo) e Alfonso Bove, ex amministratore di Publimedia, e l'assoluzione parziale e la riformulazione della pena per Andrea Costa, ex numero uno di Stt e Alfa, partecipate del Comune. È forse il penultimo tassello di una vicenda che procurò un terremoto politico, con la caduta della giunta di Pietro Vignali nel 2013, portando 19 persone davanti al Gip. Tra questi, l'allora sindaco, tra i pochi a patteggiare e in seguito riabilitato. È stata la Quinta sezione della Corte d'appello di Bologna a esprimersi, dopo che la Cassazione aveva accolto il ricorso di Bove e Torchiaro, condannati in appello a tre anni, e Costa (sei anni e sei mesi).
Il fatto non sussiste. Torchiaro, assistito in questa tappa dall'avvocato Alessio Filetti, dopo che Gian Domenico Caiazza aveva ottenuto la vittoria in Cassazione, ha atteso 12 anni per leggerlo in una sentenza. Era accusato di peculato, di aver percepito nel 2010 «compensi non dovuti» dal Comune. A Parma era arrivato per la promozione del convegno «Ripensare la logistica» del novembre 2009: la società Alfa cercava un giornalista con conoscenze nazionali. E Torchiaro portò come moderatore un redattore del Tg1 e fece pubblicare articoli, oltre a spianare la strada all'ospitata di Vignali a Porta a Porta.
Il compenso, tutto compreso (l'impegno durò mesi e comportò anche l'affitto di una casa), ammontò a 11mila euro. Cifra congrua anche per il presidente della federazione degli specialisti in pubbliche relazioni. Ma tant'è, dai faldoni di Public Money emergeva che Torchiaro per quei soldi avrebbe lavorato ai social del sindaco, (tra l'altro avviati dieci mesi dopo il convegno). «Feci consulenze, ma saltuarie e tutte pagate in modo trasparente» sottolinea lui, prima di aggiungere amaro: «Dodici anni della mia vita sono stati devastati, segnati da una catena di errori investigativi e giudiziari nati da pregiudizi ideologici nella Procura di Parma guidata allora dal procuratore La Guardia. Il danno subìto in termini economici, reputazionali, esistenziali non può essere compensato dalle sole scuse dei responsabili di questo scempio del diritto. Da giornalista, il mio impegno garantista sarà sempre dedicato ad aiutare a uscire da questi inferi le oltre mille vittime di malagiustizia, accompagnata sempre da gogna mediatica, che abbiamo in Italia ogni anno».
Bove, invece, allora proprietario di Publimedia, fu accusato di essere l'amministratore occulto della Gdm, dove lavorava la figlia Raffaella, organizzatrice di un evento per Stt nel giugno 2010. Tra Gdm e Stt fu firmato un contratto per 30mila euro. Gdm pagò 24mila euro a Publimedia per spazi pubblicitari su Polis, che non erano solo per il convegno. Questi passaggi da Stt a Gdm e poi per una cifra diversa a Publimedia portarono all'accusa di peculato. «L'assoluzione è con formula piena - sottolinea Patrizia Pecoraro, avvocato di Bove in tutti questi anni -. Siamo molto contenti che finalmente sia stata fatta chiarezza». Come detto, potrebbe essere il penultimo atto. L'ultimo? Il quasi certo ricorso dell'avvocato Luca Brezigar: le tre accuse di peculato per le quali Costa, suo assistito, è stato condannato a 5 anni sarebbero prescritte.
Roberto Longoni
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