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Processo

Sofia, il «tutti contro tutti» delle difese

Sofia, il «tutti contro tutti» delle difese

di Roberto Longoni

31 Ottobre 2024, 03:01

Un déjà vu al tribunale di Lucca. La giornata delle difese dei cinque imputati (i legali degli altri due avevano parlato la scorsa udienza) è una maratona: e della maratona (9 ore) ha il passo, su un «circuito» di concetti già espressi. Simile pure la strategia, con il solito «tutti contro tutti». Nessuno o semmai un altro - secondo i legali - sarebbe colpevole della tragedia della piccola Sofia Bernkopf, annegata negli 80 centimetri d’acqua dell’idromassaggio del Texas di Marina di Pietrasanta il 13 luglio 2019 e spirata dopo quattro giorni d’agonia. Anzi, per Tullio Padovani, difensore delle sorelle Elisabetta e Simonetta Cafissi titolari del bagno, responsabile della propria fine sarebbe la stessa dodicenne: annegata per un trauma cranico, e intrappolata sul fondo della vasca dalla bocchetta d’aspirazione che avrebbe «catturato» i lunghi capelli solo in un secondo tempo. Una ricostruzione che si scontra con quanto rilevato dal medico legale Stefano Pierotti durante l’autopsia. Il consulente della Procura aveva spiegato il perché del trauma cranico: Sofia avrebbe sbattuto il capo contro la vasca nel disperato tentativo di ritrovare il respiro. Non è un dettaglio, specie per i genitori della piccola: trascinati ancora in questa scena, Edoardo Bernkopf e Vanna Broia, come sempre in aula, sentono aprirsi una voragine in più nell’abisso del loro dolore. E chi, per Padovani, avrebbe dovuto impedire la tragedia, se non Thomas Bianchi, il bagnino 19enne alle piscine? L’ex docente di Diritto conclude con l’invito al giudice Gianluca Massaro a «valutare una ricostruzione oggettiva e scientifica» e con la richiesta di assoluzione per le assistite.

«Ero curioso di sentire l’arringa del professore - mormora il papà di Sofia - avvocato di spicco, “monumento” forense per chi l’ha preceduto. Mi è sembrato aver fatto poco di più che insistere su uno dei principali fili conduttori della difesa: che Sofia è morta da sola, per colpa sua».

A definire «monumento» Padovani è Michele Baldi. È l'incipit per due ore e mezzo di arringa conclusa con la richiesta di assoluzione per le Cafissi. A sua volta il legale se la prende con Bianchi, che nella sua deposizione aveva tuttavia spiegato di non essere stato formato (come invece previsto dal suo contratto di apprendista) e di essere stato costretto a turni massacranti dedicati a ogni incombenza. «Sofia - aveva detto - era nascosta dalle bolle dell’idromassaggio». Stando ai tecnici, l’impianto era fuori norma e non aveva mai visto manutenzioni; inoltre, contravvenendo alla legge regionale, i bagnanti vi entravano senza cuffia. Infine, il Texas era privo di assicurazione per danni a terzi.

Tocca poi ai difensori dei mariti delle due sorelle. Alberto Rocca, chiede «oggettività nella ricostruzione della responsabilità» di Giampiero Livi, sostenendo che tutte le testimonianze lo scagionerebbero. Inoltre l’avvocato contesta la richiesta del pm Salvatore Giannino. «Perché tra tutti gli imputati proprio per lui ha chiesto la pena più alta (tre anni e due mesi, ndr)? Io ne chiedo l’assoluzione». Stesso canovaccio per Filippo Bellagamba, difensore di Mario Assuero Marchi. «La mera presenza non indica una responsabilità penale» dice il legale, chiedendo l’assoluzione piena.

Ultimi a parlare, i difensori di Bianchi. «Se il padre di Sofia lo ha perdonato, un motivo ci sarà: non si possono addossare colpe al bagnino per condotte non tenute» sottolinea l’avvocato Gionata Bonuccelli, prima di aggiungere l’ipotesi «che gli altri bambini potrebbero, giocando in acqua, averla colpita e fatta svenire». Teoria in netto contrasto con la ricostruzione dei consulenti della Procura. «Sofia è morta per il bocchettone di aspirazione fuori norma e non per il mancato salvataggio del bagnino. Le colpe poi sono di chi ha messo in vasca Bianchi, pur essendo neobrevettato senza formazione sul funzionamento dell’idromassaggio». La richiesta d’assoluzione con formula piena di Bianchi è condivisa dal professor Enrico Marzaduri. «Sofia non era visibile da nessuno, in quanto adagiata sul fondo della vasca» ribadisce l'avvocato.

«Ancora una volta tutti colpevoli e nessun colpevole - dichiara a fine udienza Stefano Grolla, legale di parte civile -. Ma come hanno fatto le Cafissi e i consorti a gestire in tal modo un bagno frequentato da bambini, nel quale avrebbero dovuto garantire un luogo sicuro e non, come nei fatti, un luogo tanto pericoloso da causare la morte di una 12enne?» Al giudice la risposta: l’11 dicembre sono previste repliche e sentenza.

Roberto Longoni

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