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Silvio Orlando: «Abbiamo tutti il diritto di fallire»

Silvio Orlando: «Abbiamo tutti il diritto di fallire»

06 Dicembre 2024, 03:01

«I genitori vorrebbero che i figli fossero un misto tra Mozart e Maradona, li caricano di aspettative creando enormi frustrazioni: e i ragazzi alla fine si sentono sbagliati. Le conseguenze del loro senso di solitudine le vediamo tutti. Invece il fallimento fa parte della vita: il vero fallimento è negare questa semplice verità».

Ha iniziato da qui - dal teatro - e qui torna sempre volentieri, perché del palco non può e non vuole fare a meno: nemmeno adesso che alle spalle ha quasi 40 anni di cinema, amato da Moretti, Virzì e Salvatores, nonché reso irresistibilmente, e imprevedibilmente, pop da Paolo Sorrentino. Napoletano doc, 3 David di Donatello, una Coppa Volpi (e una montagna di altri premi) in bacheca, Silvio Orlando, volto tra i più amati (dal pubblico come dalla critica), apre stasera la stagione del Teatro Magnani di Fidenza con «Ciarlatani», lo stesso spettacolo che l'altra sera a Bologna si è trovato a dovere interrompere a causa dello squillo di un cellulare: «Per colpa di pochi, paga tutto il pubblico - ha detto -. Per favore, almeno abbassate il volume», definendo la sua pacifica protesta una «battaglia di civiltà». Tratto dalla commedia «Los Farsantes» del madrileno Pablo Remón, «Ciarlatani», che vede Orlando in scena con Francesca Botti, Francesco Brandi e Blu Yoshimi, è una pièce, divertente e insieme amara, dove tanti personaggi giocano tra realtà e finzione.

Lo potremmo definire uno spettacolo sul diritto di fallire?

«La molla per farlo è stata proprio questa: io penso sempre che il teatro debba occuparsi dei diritti fondamentali degli esseri umani. E quello di fallire è un diritto che ci viene negato. Abbiamo abbassato apposta l'età della nostra protagonista: volevamo che questo messaggio arrivasse alle nuove generazioni. E ai loro genitori».

Lei è da molti anni un attore di grande successo: ha mai conosciuto dei fallimenti? E se sì come ha reagito?

«Ho avuto delle pause sia nella vita professionale che in quella privata, che ho sempre tenuto un po' schermata. Tutti i giorni mi chiedo a cosa ho rinunciato per ottenere quello che ho ottenuto nella vita professionale. Sono domande sempre molto dolorose a cui si reagisce col fare, andando avanti».

Tra i vari ruoli, in «Ciarlatani» interpreta anche un regista stanco del suo successo. Ne ha conosciuto qualcuno?

«Sì, è un personaggio che vorrebbe tornare alla purezza dei suoi inizi. Capita, a volte: ma poi tra mediazioni e aggiustamenti, le voci di dentro diventano sempre più deboli e ascolti sempre di più quelle di fuori, quello che vogliono gli altri.... Ho visto queste dinamiche come conosco d'altra parte anche autori che hanno avuto percorsi molto coerenti, che hanno mantenuto la loro purezza».

Il teatro è il suo primo amore: e anche se ha fatto tanto cinema, non l'ha mai abbandonato...

«Tenere insieme le due cose non è facile: io però ho sempre privilegiato il teatro. È il luogo in cui mi sono formato e dove riesco ad assecondare i miei cambiamenti interiori: nel cinema ti richiedono un po' quello che serve a loro, non quello che serve a te. Ripeti un cliché di te stesso. Ala fine cresci solo attraverso il teatro. E facendolo è davvero possibile essere meno ricchi e riconosciuti, ma più felici. Sei felice perché non sei in quella macchina lì, dei social, del presenzialismo a tutti i costi. Sì, meglio essere demodé».

Però nel cinema ci sono anche incontri speciali, come quello con Sorrentino...

«Paolo mi ha chiamato due volte e per due volte mi ha fatto interpretare due personaggi così a fuoco (il cardinale Voiello di «The Young Pope» e il professor Marotta di «Parthenope», ndr) che sono rimasti. Mi ha regalato delle eccezioni alla regola del suo cinema, personaggi di una tale umanità che si distinguevano: un piccolo deragliamento nel suo percorso. Quando lavoro con Paolo mi sento un po' una top model, come se un grande stilista mi facesse indossare un vestito meraviglioso: mi fa sentire Naomi Campbell, a dispetto del mio reale aspetto fisico...»

Una grande carriera, tanti riconoscimenti: c'è anche qualche rimpianto?

«Il mio rapporto con il teatro di Eduardo, che si è interrotto: mi piacerebbe un nuovo incontro, ma purtroppo la vita va da un'altra parte. Lì sento che potrei dire qualche cosa di aderente al suo mondo, ma totalmente nuovo: ma non sono riuscito a farlo in passato e dubito di riuscirci anche in futuro».

Filiberto Molossi

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