Testimonianza
L’oceano era mosso, l’isola sarebbe stata agitata. Forza 7 il mare, forza 7.3 (gradi Richter) la terra, per un sisma che ha mietuto 14 vittime e devastato un arcipelago vulcanico a 1700 chilometri a est dell’Australia, abbattendo ponti e centri commerciali. Martedì 17 dicembre. A Vanuatu c’era anche l'architetto parmigiano Virginia Cucchi: 43 minuti, e il suo aereo sarebbe decollato per Brisbane, tappa del rientro in Malesia dove vive e lavora con il padre Paolo (eletto designer più influente d'Asia nel 2017 e, tra le varie cose, impegnato pro bono a progettare una città modello dalle rovine di Borodyanka distrutta dalle bombe russe) e la madre Susanna Belletti (ex nazionale di volley, vincitrice dello scudetto nel 1971 con il Cus Parma), a sua volta pilastro dello studio di architettura di famiglia.
E invece per quei tre quarti d’ora scarsi Virginia è stata tra le migliaia di persone che hanno vissuto un sisma più violento di quello che nel 1908 (magnitudo 7,1) distrusse Messina e Reggio Calabria. «Sembrava non finire più» ricorda lei, appena rientrata a Johor Bahru, lembo di Malesia che sfiora Singapore. Con altri occidentali è salita su un aereo dell'Aeronautica neozelandese quattro giorni dopo la data prevista per la sua partenza. «Ritardo giustificato - dice, abbozzando un sorriso -. C'era da ripristinare la pista spaccata in più punti, mentre l’aeroporto era aperto solo ai cargo dei soccorsi».
Anche la mamma di Virginia ha sentito in diretta, e forse provando un'angoscia ancora maggiore dei presenti, il sisma con epicentro nell’oceano a una trentina di chilometri da Port Vila e dal suo scalo. «Superati tutti i controlli, alle 12,47 locali (le 2,47 italiane del 18 dicembre, ndr) ero al telefono con lei, quando tutto ha preso a oscillare con enorme violenza». Il tempo di dire del terremoto, e la comunicazione è saltata. Così come sono caduti tutti i passeggeri che, seduti nel gate, hanno provato ad alzarsi. «Le vetrate andavano in mille pezzi, parti dell’aeroporto crollavano… Appena la scossa è terminata, ho inviato un sms alla mamma per rassicurarla». Un attimo dopo, non sarebbe stato più possibile: per giorni solo i satellitari avrebbero funzionato.
«Subito - prosegue Virginia - ci hanno evacuati sulla pista». Ma anche lì c’era pericolo. «L’odore di cherosene fuoriuscito dai depositi era fortissimo, così ci hanno allontanati. La confusione era generale, mentre scattava l’allarme tsunami». Per un paio ore non si è potuto escludere che il peggio dovesse ancora arrivare.
Nel frattempo, Virginia e altri passeggeri sono stati accompagnati al consolato australiano: in alto rispetto al resto della città e risparmiato dal sisma, a differenza di altre strutture diplomatiche. La macchina degli aiuti si è mossa tempestiva. «Devo ringraziare sia l’ambasciata italiana che quella neozelandese per il supporto che hanno dato a me e a Perry Easton, lo skipper inglese con il quale ero in viaggio. Anche il personale dell'Holyday Inn, dove siamo stati alloggiati, visto che il nostro albergo aveva subito gravi danni, si è impegnato al massimo per venire incontro ai tanti ospiti dell'emergenza».
Che le vacanze non sarebbero state all'insegna della stabilità, Virginia l'aveva messo in conto, quando con l'amico aveva optato per una crociera di due settimane in barca a vela con partenza dalle isole Salomone. «Ma a un certo punto - racconta - le condizioni del mare ci hanno indotto a sbarcare a Port Vila. «Dove - prosegue - ironia della sorte, sarebbe stato proprio l'armatore rimasto sulla barca a “ballare” di meno: ha raccontato di aver visto la costa spostarsi da una parte all'altra di cinque o sei metri. Lui in mare era fermo, mentre la terra ondeggiava».
Roberto Longoni
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