Parma Calcio
Qual è la definizione di capitano? Traducendo in senso stretto, il termine potrebbe essere esemplificato come il trascinatore della squadra, il leader, una persona in grado di metterci sempre la faccia anche quando le cose non vanno come si sperava, un simbolo, il vero collante fra società, squadra e tifosi.
Si dice spesso che la leadership – caratteristica intrisa dentro ogni capitano – non si possa acquisire col tempo ma al massimo possa solo affinarsi attraverso le relazioni coi compagni, l’esperienza e la conoscenza di tutte le dinamiche dello spogliatoio. In questo Parma di giovani talenti con ancora tanti margini di miglioramento, lui ha saputo vestire il ruolo di capitano in modo perfetto e tutto questo non è naturalmente frutto del caso ma di un percorso fatto di duro lavoro, intenso, affrontato sempre con passione e devozione. Un sentiero quello di Enrico Delprato che cercheremo di ripercorrere dall’inizio.
In questo viaggio alle sue radici ci guideranno diverse persone che l’hanno visto crescere giorno dopo giorno, che hanno vissuto il sogno di quel bambino di Grassobbio, partito proprio da lì, dall’oratorio del paese.
Il primo campetto
L’incontro con papà Ivan non poteva che essere di fronte a quel campetto di Grassobbio dove tutto ha avuto inizio.
«Ti devo dire la verità. Già da piccolo qualcosa si intravedeva in lui. In questo campetto, oggi sintetico, ha mosso i suoi primi passi. Il suo primo allenatore? Dario Merelli, una bella persona, ricordo bene che amava farlo giocare davanti alla difesa. Probabilmente la sua idea era quella di sfruttarlo al massimo in ogni zona del campo ed evidenziare le sue qualità».
Il passaggio alla Dea
La sua esperienza nel campetto del paese dura giusto il tempo di una stagione. Correva l’anno 2005 ed il piccolo Enrico durante il novembre di quell’anno partecipa ad un torneo a Comun Nuovo. La sua attenzione nella gestione della palla, la capacità di sovrastare ogni altro bambino in campo con un’innata qualità non sono passati inosservati agli osservatori della Dea che decidono di portarlo subito a Zingonia.
Ivan Delprato che ricorda bene quella giornata e ne parla così. «Ricordo di aver visto un signore che mi sembrava di conoscere vicino alle panchine. Dopo averci pensato per qualche istante ho capito che era l’osservatore dell’Atalanta e che in passato era stato il mio allenatore, essendo io stesso passato da lì. Si trattava di maestro Bonifacio, uso questo appellativo perché era proprio un maestro. Il giorno dopo ricevo una telefonata, dall’altra parte c’era lui. La stima per Enrico era forte così come l’interesse e dato che in quel periodo io ero il capitano dell’Albinoleffe mi era stato domandato se fosse mia intenzione portarlo nella mia stessa società o abbracciare il progetto nerazzurro. Alla fine, io e mia moglie puntammo sull’Atalanta ma non glielo abbiamo comunicato ad Enrico. Non volevamo distrarlo. Poi, una volta terminato l’anno è stato informato di questa grande possibilità e la sua grande bravura è stata quella di non farsi prendere ma di abbracciarla con grande tranquillità e con immenso entusiasmo. Questa grande gestione delle emozioni sin da piccoli è un altro aspetto fondamentale per fare strada nel calcio».
Ed in questo grande passaggio che segnerà poi inevitabilmente il suo percorso da calciatore c’è chi si dispera di non poterlo più trovare al campo d’allenamento, il suo mister Dario Merelli lo ricorda così quel momento. «Già mi pregustavo il fatto di averlo anche l’anno successivo insieme a quelli che avevano qualche anno in più di lui, perché comunque ci sarebbe stato senza problemi e invece arriva questa notizia che naturalmente ho accolto con grande felicità, sia per la famiglia che per Enrico. Io lo chiamavo Fabregas per il suo amore per il pallone, ricordo che già a quell’età poteva esserci chiunque intorno a lui ma se c’era il pallone, quella sfera tonda era la cosa più importante. Anche con suo papà Ivan parlavo spesso di questa cosa e delle belle sensazioni che mi dava nonostante fosse un bambino. In partitella saltava tutti con estrema facilità, allora per stimolarlo un po’ gli dicevo che valeva solo se toccava la palla solo con il piede meno educato, il sinistro. Non sto nemmeno a raccontarlo, replicava la stessa azione toccandola col mancino, segnava ed a quel punto alzava lo sguardo come per dirmi “hai visto?!” [ride ndr.]».
Altro topic dei grandi che nello sport più bello del mondo arrivano ai vertici c’è la reazione agli errori, ad un passaggio sbagliato, ad una mancata lettura di gioco, nella voglia di pretendere sempre e solo il meglio da sé stessi. La domanda sorge quindi spontanea: come reagiva il piccolo Delprato ai suoi errori? Merelli non ha dubbi: «Aveva la stessa caratteristica che trovo nei bambini più bravi, ovvero si arrabbiava, si arrabbiava tantissimo. Non abbassava la testa ma cadere in errore era una cosa che lo mandava su tutte le furie. Pretendeva sempre il massimo da sé stesso non solo in partitella ma in ogni esercizio».
Generazione d'oro
Una mentalità centrata, forte e che l’ha portato ad essere pronto già a 6 anni per l’Atalanta. Una generazione d’oro quella dei ‘99 nelle giovanili della Dea, squadra composta da tanti campioni che sono arrivati a togliersi grandi soddisfazioni. Da Carnesecchi passando per Bastoni, da Kulusevski a Colpani, poi Okoli e lo stesso Delprato, capitano già in quegli anni. Ad accompagnare quei ragazzi pieni di talento e sprizzanti di qualità è stato Massimo Brambilla, ex centrocampista del Parma a metà degli anni Novanta e oggi allenatore della Juventus Next Gen, che conserva tante idee e pensieri positivi di quel passato glorioso: «Enrico l’ho avuto 3 anni, per due stagioni con l’Under 17 e poi in Primavera. Il suo segreto è che ha saputo abbinare la sua intelligenza calcistica – decisamente sopra la media – alla costante voglia di lavorare e migliorare, la vera arma in più che l’ha portato ad essere il giocatore che è oggi. L’Atalanta ti forgia molto come giocatore a livello di tecnica e lui ha saputo sfruttare l’opportunità ma poi credo anche che sia la sua duttilità a renderlo unico. A proposito di questo, l’annata migliore per Enrico con me alla guida credo sia stata quando giocava come centrocampista basso davanti alla difesa nel mio 4-3-3. Penso che nel suo futuro quel ruolo possa ricoprirlo anche in Serie A».
Duttilità
Il dilemma quindi sulla sua posizione in campo anche in questo Parma rimane, con Pecchia che preferisce schierarlo più arretrato probabilmente anche per esigenze di modulo. Con un centrocampo a due, l’allenatore crociato è probabile che riservi quelle posizioni a pedine più dotate a livello fisico come Sohm e Keita senza dimenticare l’infortunato Bernabé. Senza dubbio con un centrocampo a tre, spostando di qualche metro il baricentro della squadra più basso, Delprato potrebbe ritrovare la possibilità di brillare anche nella posizione in cui è maturato.
Lo stesso dubbio lo esprime in ultima analisi anche Dario Merelli: «Trovo che le caratteristiche di Enrico non siano quelle che deve avere un difensore centrale, troppo bello, troppo pulito. Lo stesso Gasperini, nelle amichevoli estive, lo schierava centrocampista basso. Un difensore centrale naturale in serie A? Faccio il nome di Gatti della Juventus, centrale formidabile che probabilmente ha metà delle qualità di Enrico, ma che in quella posizione rende molto di più». L’ultimo anno trascorso in maglia Atalanta è stato da fuori quota in Primavera, vincendo il campionato, e se quindi da una parte c’è stata felicità, l’altra faccia della medaglia nasconde anni di battaglie con la stessa società.
Dietrofront Benevento
Le parole del papà chiariscono meglio quanto attraversato: «Prima dei prestiti al Livorno e alla Reggina, Enrico ha provato a credere di arrivare alla corte di Gasperini. La verità è che non si sentiva addosso la fiducia del club, per quanto abbia ottenuto diverse convocazioni, non ha mai debuttato e sentiva di essere giunto ad un punto morto». Il passaggio al Parma nasconde una storia curiosa, con una trattativa sfumata all’ultimo che forse non tutti conoscevano.
Dopo l’esperienza a Livorno e alla Reggina in prestito, Enrico Delprato torna a Zingonia alla corte di Gian Piero Gasperini. Se in un primo momento sembrava potesse entrare nelle cerchie di Gasp, l’arrivo di Teun Koopmeiners dall’AZ Alkmaar per 12 milioni di euro + 2 di bonus, taglia fuori il giovane talento di Grassobbio, che a quel punto è costretto a guardarsi attorno. Si fa avanti il Benevento per portarlo in battaglia in serie B e l’opzione di abbracciare questa nuova sfida attrae sia il procuratore che lo stesso giocatore. Penserete, è fatta, si va a Benevento. Arriva la mattina della partenza, papà Ivan è pronto ad accompagnare Enrico al centro sportivo atalantino a svuotare l’armadietto per poi raggiungere l’aeroporto. Tutto sembra filar liscio, quando all’improvviso squilla il telefono, dall’altra parte c’è il team manager della Dea che pronuncia queste parole: «Mister Gasperini non vuole che tu prenda quell’aereo, ti aspetta oggi per l’allenamento con la squadra». L’improvviso dietrofront scuote non poco il ragazzo, già proiettato verso la nuova squadra. Nonostante il richiamo in gruppo ad inizio campionato si ritrova ad essere di nuovo escluso e grazie alla bravura del procuratore spunta il Parma. Il resto è storia.
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