Intervista
Talento riconoscibilissimo in in un intreccio di opposti: altoatesina di nascita e calabrese nelle radici, rigore nello studio e cuore caldo nell'interpretazione, la mezzosoprano Anna Maria Chiuri, rossochiomata voce di riferimento per un certo repertorio verdiano da un lato e dall'altro per quello tedesco di Strauss, tra «Elektra» e «Salome» («Sì, Verdi aiuta anche qui»), riceverà oggi il «Verdi d'oro» della Corale Verdi, momento clou del tradizionale Concerto di Sant'Ilario all'Annunziata (23ª edizione, ore 15, ingresso libero a offerta), millefoglie di significati dove la spiritualità della musica, nel giorno del patrono, viene messa al servizio del talento più bello della città, quella solidarietà qui declinata nel sostegno a favore della Mensa Padre Lino e dell’Associazione il Cerchio Azzurro.
L'appuntamento di oggi apre, tra l'altro, una serie di esibizioni parmigiane: Chiuri sarà di nuovo venerdì alla Corale Verdi tra gli ospiti del concerto organizzato dal Club dei 27, con le associazioni musicali parmigiane, in memoria di Alberto Michelotti; il 27 gennaio al Teatro Verdi di Busseto, nella ricorrenza della morte del Cigno; il 9 febbraio al Museo Glauco Lombardi di Parma e il giorno dopo al Teatro Regio per l'evento dedicato ai 120 anni della Corale Verdi. Fuori Parma, ci saranno, in marzo, una «Elektra» al Filarmonico di Verona, una «Salome» a Firenze, Maggio Musicale, con la regia di Emma Dante, e a seguire un'altra «Salome» al Massimo di Palermo, direttore Omer Meir Wellber.
Cosa rappresenta, dopo 31 anni di carriera, questo «Verdi d'oro»?
«Prendo sempre tutto come una sorpresa, mi diverto a stupirmi delle cose. Non me lo aspettavo e non lo pretendevo, perché sono così; dunque mi sembra un regalo bellissimo. Grazie a questo premio, ho la conferma, in una qualche maniera, di essere arrivata al cuore di un certo pubblico attraverso la musica verdiana. E dunque ringrazio Verdi, il nostro datore di lavoro, noi siamo suoi vassalli, lui è il personaggio centrale».
Ai premi è abituata, ha ricevuto anche un «Abbiati», tuttavia questo «Verdi d'oro» suggella anche il legame con Parma dove lei scelse di venire a studiare, lasciando San Candido.
«È una storia buffa. Studiavo canto e, a un certo punto, andai a farmi sentire da un insegnante di Torino che mi suggerì di provare l'ammissione al Conservatorio Boito, dove senz'altro mi avrebbero presa. Venni a fare l'audizione ma arrivai terza e c'erano solo due posti così, per un soffio, non riuscii a entrare. Era il 1987, avevo appena concluso la maturità classica, era uscito greco scritto quell'anno. Dispiaciuta, mi iscrissi all'Università, a Chimica e Tecnologia Farmaceutica. Ma continuavo a pensare al canto, tanto che i miei stessi compagni di facoltà mi spinsero a ritentare! Due anni dopo riprovai e fu la volta buona ma ... ancora, non c'erano abbastanza posti nella classe di canto così mi misero nella classe di pre-canto, tenuta dal professor Mauro Uberti, un biologo che dava un taglio molto interessante alle lezioni. L'anno dopo passai alla classe di canto. In tutto ho vissuto a Parma dal 1989 al 1993, resta un luogo del cuore».
Ha conosciuto anche Carlo Bergonzi.
«Sì, in occasione dell'Aida che Franco Zeffirelli preparava al Teatro di Busseto. Anche qui ci sarebbe una lunga storia: per il ruolo di Amneris, la mia voce piaceva molto sia a Bergonzi che a Vito Lombardi che davano a Zeffirelli alcuni consigli sul cast, ma Zeffirelli voleva una Amneris magra e bionda... io sono rossa e un po' imponente, non ci fu nulla da fare. Però l'incontro con Bergonzi fu molto divertente, e penso che sia una delle voci più belle per il repertorio verdiano, per delicatezza e raffinatezza, esemplare il suo “Ingemisco” nella “Messa da Requiem”. Lo dico io che ho studiato con un tenore come Franco Corelli».
A proposito di divi del Novecento, ha visto «Maria» il film di Pablo Larraín sugli ultimi giorni di Callas con Angelina Jolie, ora nelle sale?
«No e non voglio nemmeno vederlo. Ho letto alcuni articoli e visto qualche promo. So che sicuramente mi deluderebbe, nel senso che tutto quello che appartiene al mio mondo, in questi casi, viene filtrato da occhi che non hanno idea di cosa voglia dire effettivamente questo mondo, questo mestiere. E ciò vale soprattutto per la Callas, di cui peraltro non è giusto mostrare solo una parte».
Mara Pedrabissi
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