Lutto
Il suo ultimo messaggio lo ha affidato a Facebook, poco prima di chiudere gli occhi per sempre. «Tra poco non ci sarò più - sono alcuni dei suoi pensieri -. Non scrivetemi più perché non avrete risposta. Vi porterò tutti nel mio cuore. Addio». Giovanni Dodi, notissimo insegnante di lettere e uomo dagli innumerevoli interessi e passioni, è infatti scomparso sabato sera, dopo una malattia che non gli ha lasciato scampo.
Aveva compiuto 58 anni pochi giorni fa, il 19 gennaio. Se n'è andato circondato dagli affetti più cari – la moglie Rachele, la sorella Anna e la nipote Marta – e dallo sgomento dei tantissimi amici, ex allievi e colleghi che in tutti questi anni ne hanno potuto apprezzare la cultura, la sensibilità, ma anche l'estrema schiettezza. La stessa che ha usato per il suo addio. Senza nascondere nulla e, soprattutto, senza nascondersi, cifra che ha caratterizzato un'esistenza piena e spesso controcorrente.
Al professore parmigiano si potrà dare l'ultimo saluto domani con partenza alle 14,30 dalle Piccole Figlie per la chiesa di Ognissanti in via Bixio dove alle 14,50 sarà celebrato il funerale.
La cultura, in special modo quella classica (ma Dodi, fin da bambino, eccelleva in tutte le materie, segno di un amore per il sapere a trecentosessanta gradi), era nel suo destino. Figlio di due stimatissimi insegnanti – il padre, Ennio, insegnò a lungo al Rondani, mentre la madre era quella Karola Salavolti che, al Romagnosi, fece appassionare al latino e al greco generazioni di studenti – Giovanni ha passato la sua giovinezza e gran parte della sua vita in piazzale Rondani, «con vista» sul liceo ginnasio Romagnosi. Che ha frequentato con enorme profitto, prima di laurearsi in Lettere antiche all'Università di Bologna, e dove ha anche insegnato per un breve periodo.
Proprio l'insegnamento è stata la sua missione, come ben sa chi lo ha avuto come collega ma, soprattutto, come docente e ora affida ai social tutto il suo dolore ma anche la profonda gratitudine per «un prof che ci ha cambiato la vita». Severo e preparato, ben disposto con chi ce la metteva tutta e capace di tenere testa a chi aveva la presunzione di sapere tutto, non era uno che «batteva» solo su nomi e date. Troppo semplice e, a dire il vero, poco entusiasmante. Per lui, che aveva nelle vene il sangue dell'Oltretorrente più vero, dove in tanti se lo ricordano a passeggio con i due cani e l'immancabile libro, la cultura era qualcosa da trasmettere ai suoi alunni, con tanti dei quali seppe mantenere uno stretto rapporto fino ai suoi ultimi istanti di vita. Per trasmettere loro quello che i greci chiamavano «un possesso per sempre». Fu in cattedra a Parma dal 2001 in diverse scuole secondarie di primo grado: Corcagnano, Newton e Fra Salimbene. Dal 2012, trasferitosi nella sua amata Liguria, ha insegnato italiano e storia alle superiori a Chiavari e Sestri Levante e, nel 2023, per un breve tempo a Lucca, in Toscana.
Letteratura e lettura non erano, però, le uniche passioni. Dodi amava anche la cucina e il vino tanto che a Parma aprì un ristorante in borgo del Correggio - dove un tempo c'era «Quinto» - dal nome evocativo: il «Grapaldo», dal nome dell'umanista parmigiano vissuto tra il Quattro e Cinquecento, che nella seconda metà degli anni Novanta fece epoca. Ma anche la musica - dalla classica alla lirica (cantava alla Corale Verdi e si era cimentato anche con l'operetta) a quella definita moderna - aveva per lui un posto importante. Era difficile infatti che, a partire dai primi anni Ottanta, quando usciva un disco - che fosse di un noto pianista o di un cantautore -, Dodi, che si distinse anche come conduttore radiofonico, non lo avesse.
Anche la politica, però, tormentata passione, e l'impegno nel sociale fecero parte della sua vita. Generoso, sempre pronto ad aiutare chi era in difficoltà e nemico dei soprusi, fin dalle superiori, quando fu eletto rappresentante degli studenti al consiglio di istituto del Romagnosi, non aveva mai temuto di battersi in nome dei suoi principi. Il cliché di «primo della classe» era, infatti, quanto di più lontano da lui. Anzi, il fatto di avere ottimi voti lo metteva nella posizione di poter pensare anche al prossimo. Perché credeva, come dice Giorgio Gaber in «Qualcuno era comunista», di «poter essere felice solo se lo erano anche gli altri».
m.c.
© Riproduzione riservata
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata