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INTERVISTA

Andrea Alongi: «La rinascita dopo anni di sofferenza. Sono una persona migliore»

Andrea Alongi: «La rinascita dopo anni di sofferenza. Sono una persona migliore»

di Luca Molinari

03 Febbraio 2025, 03:01

Sono passati una decina di anni da quell' «E che do bali» che lo ha reso famoso. Eppure la gente ancora lo ferma per strada, memore della sua testimonianza fuori dalla righe sul caso Bonsu.

Al tempo dei fatti (settembre 2008) Andrea Alongi era un diciassettenne tossicodipendente che si era trovato per caso in mezzo ad un delicato caso di cronaca giudiziaria, finito su tutte le cronache nazionali. Ma è soltanto alcuni anni dopo che, complici le immagini di «Un giorno in pretura», Alongi diventa l'idolo del web, un personaggio che viene chiamato ad animare serate in discoteca e ad essere il protagonista di svariati video.

Ora Alongi sta vincendo la sua battaglia contro le dipendenze, lavora e ha una fidanzata; si gode la normalità di una vita che fin da bambino è stata invece piena di traumi, di dolore.

Quando hai capito di essere diventato famoso?

«Un giorno, mentre camminavo all'interno di un centro commerciale cittadino per incontrare mio fratello e mia sorella - dato che non vivevano con me - tutti hanno iniziato a salutarmi e fermarmi: giovani, anziani, soprattutto persone che non avevo mai visto prima. Subito non capivo cosa ci trovasse la gente di così straordinario nelle mie parole, sono diventato popolare in un attimo grazie alla schiettezza un po' sopra le righe di un ragazzo di 17 anni».

È stato bello essere al centro dell'attenzione?

«No, per niente. Tutta questa notorietà non l'ho mai cercata e mi ha sempre creato dei problemi. All'epoca facevo uso di sostanze e soffrivo. La gente mi usava, mi chiamava a fare serate in discoteca sfruttando l'idolo del momento. Tanti mi venivano anche a suonare sotto casa. A volte succede ancora che mi suonino al citofono, sono soprattutto ragazzotti che fanno un po' gli scemi in compagnia e urlano “E veh Alongi”, come se fossi un fenomeno da baraccone».

Cosa ti dà più fastidio?

«La gente pensa di conoscermi per un'esclamazione, per un «E che do bali», ma in pochi sanno che sono rimasto dieci ore in tribunale quella giornata e soprattutto non conoscono le difficoltà che ho dovuto attraversare durante la mia giovinezza: mio padre non c'è mai stato, mia madre non la sento ormai da anni e quando ero adolescente aveva sposato un uomo che mi usava per spacciare e mi trattava senza un minimo di rispetto o umanità. Quando avevo 14 anni, anziché andare a scuola come tutti gli altri ragazzi, andavo a vendere l'eroina. La cosa che più mi manca ancora oggi è il non avere mai avuto una famiglia vera al mio fianco. Ho soltanto un fratellino e una sorellina che incontro quando posso, oltre ovviamente alla mia ragazza».

Quando hai deciso di cambiare vita?

«L'ultima volta che ho combinato un casino con la droga sono finito ai domiciliari. È stata un'esperienza pesante, che mi ha segnato. Non potevo muovermi liberamente e le rare volte in cui uscivo dovevo sempre comunicare ogni spostamento alle forze dell'ordine. Due anni fa ho deciso di dire basta e di cambiare. Non so che cosa sia scattato esattamente, ma ho visto che passo dopo passo la mia vita migliorava. Ogni settimana ho ancora appuntamento con la psicologa del Sert e mi vedo con un operatore. Ho una fidanzata e trascorro una vita semplice, ma che mi piace molto. Da un anno e mezzo lavoro in via Enza in un negozio per la toelettatura di animali. Amo questo lavoro e gli animali».

Hai un cane. Come si chiama?

«Vito. È un bastardino di 14 anni che ho adottatto quando aveva soltanto quaranta giorni e stava morendo di fame. Mi sono preso cura di lui, dandogli il latte giorno e notte e svezzandolo con tanto amore. È con me da sempre, è un vero e proprio compagno di vita, siamo inseparabili».

Cosa ti piace della tua normalità?

«Tutto. Mi piace andare al lavoro ogni giorno, dare il massimo per i clienti, vedere la tv in casa rilassato, passeggiare col cane, leggere i fumetti giapponesi, da sempre la mia più grande passione. Vivo da solo ormai da 12 anni e sto bene. Non esco molto perché prima ero sempre fuori, non avevo orari. Ho sempre avuto amicizie legate alle sostanze, ora invece chiacchiero soprattutto con chi ha cani nel quartiere. È bello soprattutto poter andare a dormire tranquillo, senza frustrazioni o rabbia, ma soprattutto senza senza pensare che quella potrebbe essere l'ultima notte».

Come ti immagini tra vent'anni?

«Boh. Magari mi piacerebbe avere un negozio di animali tutto mio, una bella collezione di fumetti giapponesi e forse una famiglia. Mi piacerebbe soprattutto poter continuare a far capire ai ragazzi che se fai delle cazzate in gioventù poi le paghi. Capisco che a una certa età uno sia ribelle, ma esagerare porta solo guai. Anche a me da ragazzino gli operatori dei servizi sociali stavano antipatici, ma a volte provare a fidarsi è fondamentale. Sono andato a parlare all'assemblea di istituto del liceo Marconi ed è stata una essperienza molto bella. Ho detto a tutti che se ce l'ho fatta io a cambiare senza aver mai avuto alle spalle una famiglia, allora lo possono fare tutti».

Cosa ti piace del parlare ai giovani?

«Capisco che posso dare una spinta a tanti, fargli capire che la vita più bella non è quella spericolata, ma normale».

Luca Molinari

© Riproduzione riservata

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