DIFFAMAZIONE
Il figliol prodigo. Lui, che l'aveva assunto come tirocinante e l'aveva cresciuto nel suo studio di consulenza commerciale, si sentiva tradito. Amareggiato da quel dipendente a cui aveva ceduto la quota di maggioranza della società con l'impegno di formare la sua «vera» figlia, ma la promessa non sarebbe stata mantenuta. Così, deluso e irritato, nell'ottobre del 2020, rispondendo a un post di un professionista amico su Linkedin, ha digitato tutto il suo sdegno: «Sto sperando che Mr. Covid non si ricordi di me. Considerato che..., a cui avevo regalato lo studio, si è comportato malissimo, ho deciso di riattivare la mia consulenza. Mi è difficile perché lui ha creato lo studio... depistando i clienti. Se hai rapporti, fai attenzione. Sei il primo a cui lo dico. Spero di rivederti e collaborare». E per finire: «Un bez pramzan con tanta stima e amicizia».
Terribilmente disilluso, il consulente parmigiano, oggi 79enne. Ma quelle parole hanno passato il segno, per la giudice Francesca Merli. Il limite (giuridico) oltre il quale si finisce nella diffamazione, anche perché quel messaggio poteva essere letto da tutti gli iscritti a Linkedin. In fase di indagini, il pm aveva chiesto l'archiviazione, ma il gip aveva invece disposto il rinvio a giudizio. E, ieri, il professionista, assistito dall'avvocato Daniele Carra, è stato condannato a 600 euro di multa e al versamento di 5mila euro di risarcimento al suo ex dipendente che si era costituito parte civile. Il pm di udienza Marirosa Parlangeli aveva chiesto la condanna a 3 mesi.
Insomma, ammesso che la sentenza diventi definitiva, l'anziano consulente se la caverà versando un po' di soldi. Eppure, lui ha sempre cercato di spiegare che la sua intenzione non era quella di diffamare il suo ex tirocinante. Già nel 2021 si era presentato davanti ai carabinieri dicendo: «Lui non ha rispettato l'impegno di formare mia figlia, anzi, approfittando della sua quota di maggioranza, ha iniziato a tenere una condotta tesa a escludere mia figlia dalle scelte societarie, tanto che lei a un certo punto ha deciso che non poteva/voleva proseguire in questi termini e gli ha ceduto la propria quota al valore nominale».
E così lo sfogo (vendetta) è finito online. Ma, sostiene lui, la sua convinzione era che quelle parole potessero essere lette solo dal collega a cui le aveva indirizzate. «Premesso che mi sono limitato a dire che... si era comportato malissimo nei miei confronti, commento che non reputo diffamatorio, debbo ribadire come io fossi assolutamente convinto del fatto che il mio testo non potesse essere letto da persone diverse dal dottor...». D'altra parte, aveva poi aggiunto: «Sono nato nel 1946 e non ho alcuna dimestichezza con l'uso dei social».
Quel mondo virtuale che però può diventare maledettamente reale.
Georgia Azzali
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