Valmozzola
Intonò «Caruso» di Dalla, e subito si capì che il «Karaoke» di Fiorello a Salso l'avrebbe vinto lui. Per questo era nato Marco Chiesa, per incarnare bellezza e armonia: e lo ha fatto per tutti i suoi 56 anni, gli ultimi assediati dalla Sla. Marco la vita ha continuato a cantarla, anche dopo che la voce gli era stata portata via: solo con lo sguardo, lui che brillava di luce propria. Mai un lamento o un «perché io?». Non gliel'ha data vinta alla «bestia» (così chiamano la Sla gli amici di Valmozzola, vicini a lui in ogni momento, fino all'ultimo), il suo sorriso ha avuto l'onore delle armi: con il sorriso sulle labbra si è spento l'altra sera. Fino a quando era riuscito a parlare, era stato un pozzo luminoso di memorie. Tutto ricordava, a distanza di decenni: ogni aneddoto ammantato di magia. Le feste al Prato grande tra le stelle e il falò. Le partite sul campo di Mormorola, lui in porta a infangarsi fingendosi Tacconi, le cene con l'allegria in tavola, le serenate di casa in casa fino a Cascina, convinti che l'estate non sarebbe mai finita, il cielo per loggione. Noi a stonare, lui a cantare: e solo grazie a Marco non piovevano saette.
Cantava, Marco. In pubblico aveva cominciato quindicenne, conoscendo sì e no tre accordi sulla tastiera: lo si perdona a chi ha l'ugola d'oro. Le prime esibizioni alla Tosca di Varsi, oltre il crinale che divide la sua Mariano dalla Valceno. Presto, ogni momento diventò un'occasione, ogni spazio tra i tavoli delle infinite partite a carte un palcoscenico, per dare fiato ai canti degli Alpini o alla colonna sonora della montagna. Anche l'apertura dell'Osteria del Menestrello a Ozzano, con Elio Elli nel 1999, era stato un pretesto per farlo. Con Elio, Chiesa si era esibito al Festival di Castrocaro: Elli alla fisarmonica e alle tastiere, Marco con la sua voce. Il duo, con il nome di «Devas» aveva inciso il cd «Libera», con testi e musiche propri, presentato al Farnese di Borgotaro nel 1996. Stare dietro a un bancone non faceva per lui, e così dopo un paio d'anni, lasciata l'Osteria, Marco aveva cominciato a girare città e Valtaro come rappresentante di caffè. Conquistava tutti con la simpatia: un suo sguardo, e capivi di avere un amico in più.
Di quegli anni l'incontro con il fisarmonicista Mario Greco. Con lui Chiesa ha cantato nelle sale da ballo e nei circoli del provincia e del Piacentino. Con Orietta Berti, lo ha fatto anche per i valtaresi di Londra, al Dinner and Dance. Poi, quando la malattia gli ha impedito di tenere il ritmo delle serate, si è fatto armonia lui stesso: con l'esempio di chi ama la vita fino in fondo, nonostante tutto, più forte di tutto. Vicino a lui ogni attimo, la mamma Peppina (il babbo Luigi «Gino» era morto nel 1990), il fratello Stefano, i nipoti Davide e Filippo e i tanti amici, a loro volta suoi fratelli. «Stai dimostrando di avere un fisico bestiale» si era complimentato Luca Carboni in apertura del video registrato sei anni fa a Mariano, nel quale Marco imbraccia la chitarra e con Oscar Cuper canta «Gramo» scritta per lui dallo stesso artista. «Suoniamo ancora liberi, nella valle di Mariano» conclude il brano. Forse a questo pensava Marco andandosene con il sorriso. O forse a «Caruso» interpretata con tanta passione di fronte alle telecamere di Fiorello: «Ma sì, è la vita che finisce, ma lui non ci pensò poi tanto; anzi, si sentiva già felice e ricominciò il suo canto». Canta ancora, Marco, non c'è silenzio che possa intrappolarti.
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