INTERVISTA
«C’era la luna»: Serena Dandini la fa splendere nel suo nuovo romanzo, insieme a «tanta anima, tanto cuore», per il pubblico che da sempre la segue in televisione, a teatro, sugli scaffali delle librerie. Alla ricerca del tempo perduto dell’innocenza, con le lancette sul quadrante di un boom già orientato agli anni di piombo, racconta i passi verso l’età adulta di Sara Mei, una ragazzina che scrive «viva la libertà» a grandi lettere sul diario, accortasi che il mondo si va capovolgendo.
Nell’ora esatta in cui scoccano movimenti studenteschi, battaglie laceranti e feconde nel campo del diritto di famiglia, lo shock del buco nero nel cemento in piazza Fontana a Milano, ma anche le canzoni dei Beatles ascoltate in un angolo di casa, le minigonne, l’impertinenza di un volumetto di Colette scovato sotto i gialli Mondadori, un cappottino rosso sfuggito alla «deprimente estetica materna», le versioni di greco e latino al liceo classico Giulio Cesare, Sara è una fanciulla tosta che ci fa sentire chiaramente lo scricchiolio dei dogmi patriarcali dalla ribalta di una stagione affacciata sul futuro. Ricordandoci che «tutti bisogna impegnarsi per cambiare la società».
Serena Dandini presenta «C’era la luna» (Einaudi Stile Libero, 216 pagine) sabato alle 18,30 a Teatro Due, dialogando con la giornalista Raffaella Ilari.
L’incontro, che apre il mese delle iniziative dedicate alle donne, promosse dal Comune di Parma, Settore Servizi Educativi e Pari Opportunità, in occasione della Giornata Internazionale della Donna 2025, per i saluti istituzionali vedrà la partecipazione di Caterina Bonetti, assessora alle Pari Opportunità. «Serena Dandini - dice Caterina Bonetti - avverte i suoi lettori: è un attimo tornare indietro su diritti e cultura della parità. Il rischio è molto concreto, soprattutto per le nuove generazioni. Dalla mancata educazione emotiva a quelle sentimentale, sessuale e anche finanziaria, fino alla consapevolezza dei diritti nel mondo del lavoro, si sente l’esigenza di modelli di riferimento forti e soprattutto “popolari” anche tra i giovani».
Su “C’era la luna” abbiamo conversato con Serena Dandini.
Leggendo di Sara, viene spontaneo pensare a Serena Dandini adolescente. Quanto c’è di autobiografico nel libro?
«E’ tutto inventato. La protagonista è anche un po’ più grande di me, perché volevo narrare quegli anni. Il libro va dal ‘67 al ‘69, si chiude con la strage di piazza Fontana e la fine dell’età dell’innocenza per una generazione. E’ inutile dire, però, che dentro c’è tanto di me e delle persone che mi hanno aiutata a crescere in quella famosa landa desolata dell’adolescenza. Il privilegio della letteratura è poter inventare partendo da cose che conosci».
Dà voce al desiderio di ripercorrere ricordi personali?
«Mi piaceva recuperare l’energia positiva dell’epoca prima degli anni di piombo, molto gioiosa, solare, di gran sogni, ideali, musica, libri, quel sentimento per cui sembrava possibile assolutamente cambiare il mondo in meglio. Portare questa sensazione di futuro luminoso, oggi che siamo in un momento di pessimismo. Non è un libro nostalgico, ma esortativo: quello stato d’animo è ancora possibile».
C’è ancora la luna, per le ragazze di oggi?
«Secondo me sì. Anzi, dobbiamo tenercela stretta con le unghie e con i denti. Il libro parla di un periodo in cui non c’erano diritti per le donne in nessun campo. Se li sono conquistati grazie anche a quelle nonne e mamme che hanno messo le basi per un futuro diverso. Per Sara e le sue amiche non c’erano leggi a regolamentare l’interruzione di gravidanza, il divorzio, esistevano ancora il padre padrone, il matrimonio riparatore e il delitto d’onore. E’ importante ricordare chi eravamo, per sapere soprattutto chi non vogliamo essere mai più. Bisogna stare molto attenti, perché fare dei passi indietro è un attimo».
Come sta il patriarcato?
«Purtroppo benino. Nonostante dicano sia un’invenzione ideologica, se uno ripercorre quegli anni, capisce che solo nel 1975 il nuovo diritto di famiglia ha introdotto, ad esempio, una parità tra i coniugi. Però la rivoluzione culturale per far finire quella mentalità è ancora in atto. Ci lamentavamo, all’epoca, della mancanza di formazione per qualsiasi tipo di educazione affettiva e sessuale: purtroppo ancora oggi siamo qua a chiederla a gran voce per le scuole».
E il femminismo?
«E’ una delle poche rivoluzioni del Novecento che ha avuto un successo positivo. Dalle donne vengono spinte sociali importanti».
Quanto conta l’ironia nella vita?
«Ho messo a Sara un lato ironico. Il libro parla anche di cose molto toste, ma non perdo mai quel filo. E’ un’arma di sopravvivenza, un modo fondamentale per esplorare la realtà. Come diceva Virginia Woolf, le donne sono portate naturalmente verso l’ironia, perché sono serie ma non si prendono sul serio. Credo sia uno strumento per una sana crescita».
Ho letto che lei ha attinto dalla vena ironica di suo padre. E’ così?
«E’ vero. Ho detto, scherzando su questo: non ho ereditato nulla, ma ho preso il sense of humor che lui aveva spiccatissimo. Quindi lo ringrazio».
Sara fa il “giuramento di Tara”: non diventerà mai come sua madre, “campionessa olimpionica di quieto vivere”. Poi le concede una riabilitazione?
«Già nel romanzo accade. Noi abbiamo il terrore di assomigliare alle nostre madri. Credo sia bello crescere anche un po’ in opposizione. Poi però c’è un momento, quando non hai più bisogno di combattere a spada tratta, in cui recuperi quella tenerezza che ti fa comprendere anche la fragilità dei tuoi genitori».
Sara sostiene che l’amicizia sia più importante dell’amore. Lo crede anche lei?
«Sì. Non voglio sottovalutare l’importanza dell’amore. Però nei momenti difficili l’amicizia dà la forza di superare i crepacci brutti, con quella parolina, il noi delle nostre amiche, come il “little help from my friends” dei Beatles. La sorellanza continua a darmi gioia, allegria e forza».
Nel libro cita la battuta di Nora Ephron: “Non era previsto che avessimo un futuro, era previsto che lo sposassimo”. Non è più così, vero?
«Confermo. Però è una frase bellissima. Le strade concesse alle ragazze erano poche, con sentieri molto stretti, alla cui uscita venivi subito giudicata e punita. Ancora adesso molti desideri, aspirazioni e ambizioni delle donne vengono subito disincentivati. Ho fatto da poco un bellissimo meeting per lo Stem Day, per incoraggiare le ragazze ad intraprendere le materie scientifiche. Alcune scienziate hanno raccontato la loro difficoltà alle ragazze in platea. Esistono ancora stereotipi e pregiudizi secondo i quali le donne non sarebbero adatte per qualcosa».
Claudia Olimpia Rossi
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata