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Tribunale

Botte e minacce alla moglie: avvocato condannato a due anni

Botte e minacce alla moglie: avvocato condannato a due anni

di Georgia Azzali

08 Marzo 2025, 03:01

Colpevole di tutto, lei. Anche di non sedersi perfettamente al centro del cuscino del divano. Un'ospite detestabile per quel marito che l'avrebbe anche costretta a cucinare al buio. E poi botte, fino a spaccarle un labbro, nell'ottobre del 2011, quando era incinta del secondo figlio. Un uomo di legge che, tra le mura di casa, avrebbe però deposto la maschera: avvocato, 56enne, origini liguri, accusato di maltrattamenti e lesioni, l'altro ieri è stato condannato a 2 anni (pena sospesa) dalla giudice Francesca Anghileri. Il pm Massimo Porta aveva chiesto quattro mesi in più. All'ex moglie, che si era costituita, è stata riconosciuta una provvisionale di 10mila euro, in attesa dell'eventuale risarcimento in sede civile. Nessun commento da parte di Andrea Giorgi e Paolo Terbonati, difensori dell'avvocato, ma certo è il ricorso in appello.

Lui e Roberta (la chiameremo così) si erano conosciuti nel 1999. Vent'anni insieme, prima di cominciare un travagliato - e doloroso - percorso di separazione. E negli ultimi otto quelle violenze che hanno dilaniato la donna e frantumato anche i rapporti con i figli - uno adolescente e l'altro diventato nel frattempo maggiorenne - che poi sono stati affidati ai servizi sociali ma collocati a casa del padre.

Si erano sposati nel 2005, e poco dopo era nato il primo bambino. Sei anni dopo era arrivato l'altro figlio. In quel momento Roberta aveva assaporato la disillusione, perché lui avrebbe cominciato a tradirla. Eppure, aveva deciso di restargli accanto. Ma durante la seconda gravidanza lui sarebbe diventato particolarmente aggressivo. Un calvario, l'attesa del nuovo figlio: bottiglie di plastica, libri, scarpe, ciabatte e abiti scagliati addosso, schiaffi e calci durante una vacanza e davanti al bambino di 5 anni, fino a quel pugno in viso che le aveva spaccato il labbro. Al Pronto soccorso, però, Roberta era rimasta in silenzio quando lui aveva spiegato che quel taglio era dovuto a un bicchiere che si era infranto mentre lei stava bevendo. «Ero alla 20esima settimana e non riuscivo a confutare la sua tesi - scriverà poi nella denuncia -. Al ritorno a casa lui era più calmo, ma sosteneva che la colpa era mia e mi ero meritata il pugno».

Il contrattacco. Squallido. Ma è un copione che si ripete spesso. Così, anche il figlio maggiore aveva cominciato ad avere difficoltà a scuola. Anche lui era diventato un bersaglio del padre: «Sei un deficiente, un incapace», gli aveva urlato nel 2013. Ma in quegli stessi mesi erano diventate sempre più pesanti anche le minacce nei confronti di Roberta: «Adesso faccio diventare orfani di madre i tuoi figli».

Lui, che nel frattempo avrebbe cominciato ad avere altre relazioni, eppure quando Roberta, nel marzo 2019, aveva cominciato le pratiche per la separazione, aveva alzato ancora di più il tiro: «Vado in Albania e trovo qualcuno che ti conci per le feste, e non mi costa nulla».

Due mesi dopo era riuscita a liberarsi da quel giogo. Da quel rapporto di sudditanza che la stava annientando. Aveva fatto denuncia. Eppure, poco dopo, lui tornerà ancora all'attacco: schiaffi, calci. E l'affronto verso il figlio, ancora ragazzino, spinto sotto la doccia con i vestiti addosso perché aveva osato dire no.

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