AUDITORIUM PAGANINI
Andato in scena ieri sera all’Auditorium Paganini, «Le emozioni che abbiamo vissuto. Gli anni Sessanta. Quando tutto sembrava possibile» non è lo spettacolo/reading che ti aspetti, ma una vera e propria capsula del tempo di cui Walter Veltroni - capitano di lungo corso della politica in Italia e attento testimone della sua società - adora, ogni volta che sale sul palco, svitare il coperchio impolverato per condividerne con il pubblico il contenuto, intimo e collettivo insieme.
Così, grazie ad una scenografia che riproduce un classico salotto del boom economico, ecco riapparire gli oggetti che lo hanno reso iconico (come dimenticare i centrini di pizzo, i ghiaccioli arcobaleno, il Meccano, i jukebox e gli schermi Telefunken?), nonché le hit e i film che hanno fissato per sempre l’immaginario dei ragazzini di allora, ora adulti, i primi, una volta entrati in sala, ad inquadrare il QR code dove votare i propri preferiti. Davanti ad un pubblico così intimamente coinvolto è stato facile per Veltroni navigare tra i ricordi, rievocando in prima battuta la voce del padre radiocronista Vittorio (scopritore tra l’altro di Mike Bongiorno) e il suo funerale filmato dai colleghi della Rai, passando poi alla sua esperienza infantile, inaugurata da una foto di rito con un leoncino dello zoo di Roma.
È in un Paese-Maciste che sa rialzarsi dal k.o. della guerra e vuole correre, veloce come Livio Berruti, guidando sulla nuova Autostrada del Sole, che il piccolo Walter impara a scuola le prime lettere mentre il maestro Manzi le insegna, in tv, a tutta la nazione. Alternando la propria voce spesso ironica a frammenti audiovisivi non scontati, Veltroni ha citato anche le star dell’epoca, da Alberto Sordi a Gino Paoli, sottolineando implicitamente come dalla cultura popolare emergessero i valori costitutivi di un mondo in continuo cambiamento, un mondo con gli occhi rivolti allo spazio e gli orecchi sintonizzati sul sound dei Beatles. La stagione dei Sixties fu davvero dirompente perché seppe far nascere dal terreno arido del conservatorismo i fiori della contestazione, proponendo modelli comportamentali nuovi sia in ambito religioso (papa Giovanni XXIII) sia in ambito pop grazie agli intrighi sexy e mirabolanti di James Bond.
Trova spazio all’interno di tale excursus anche una riflessione negativa su quel periodo (il muro di Berlino). Nota di merito: gli ottimi assoli di tastiera del ventitreenne Gabriele Rossi - le sue versioni di «Bella ciao» e «Hey Jude» sono gustosissime - confermano che nessuna nostalgia può risultare davvero struggente senza la giusta colonna sonora. Lunghi applausi al termine.
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