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Il mostro della luna piena

Anche Parma ha avuto un serial killer: in un libro la storia di un cold case

Anche Parma ha avuto un serial killer: in un libro la storia di un cold case

di Paola Guatelli

24 Marzo 2025, 03:01

Domenica Rustici, Ermina Mori, Elda Belmessieri e Bianca Miodini: sono i nomi di quattro donne che furono uccise a Parma dallo stesso assassino in un arco di tempo che va dal 1954 al 1967.

Età e storie diverse, in comune avevano una cosa: si prostituivano in centro, o nelle vie di campagna della prima periferia. Soffocate o strangolate da un “mostro”, come venne definito allora, che non fu mai individuato e assicurato alla giustizia. Questo giallo di una Parma lontana è raccontato nel volume di Gian Guido Zurli e Edoardo Fregoso, dal titolo “L'assassino del plenilunio. Il mistero dei delitti del mostro di Parma” (edizioni Amazon). Il libro verrà presentato domani pomeriggio, alle 15, all'Archivio di Stato. Abbiamo chiesto agli autori di illustrarci alcuni dei dettagli più significativi di questo grande lavoro di ricerca delle fonti, ma anche di anticipare le sfaccettature di un mistero assai complesso.

Possiamo affermare che il caso del mostro della Luna piena è il vero e unico cold case della nostra città dal dopoguerra?
Possiamo definirlo come uno dei più interessanti, ma non l’unico. Certamente il più famoso: anche se la vicenda è stata dimenticata dalle cronache da molto tempo, negli ultimi anni sta riemergendo un certo interesse sul caso grazie a podcast o trasmissioni su YouTube che hanno trattato questo caso.

Avete dedicato tanti anni alla ricerca di fonti: carte, documenti, verbali e deposizioni: addirittura due fascicoli perduti salvati da Zurli grazie ad un piccolo miracolo.
Ho sempre avuto interesse per questo genere di casi. Da giovanissimo, nel 1996, richiesi al Tribunale l’accesso ai quattro fascicoli ed ottenni il permesso di fotocopiarli. Molti anni dopo, nel 2021, Edoardo Fregoso ed io decidemmo di prendere in mano questa vicenda per realizzare il libro che è recentemente uscito su questo caso. Dato che negli anni ’90 l’unica possibilità di riprodurre le fotografie allegate era attraverso delle fotocopie, richiesi nuovamente il permesso di riprodurre tutti i fascicolo con mezzi più moderni. Una volta ottenuto questo permesso, ci siamo recati dall’archivista del Tribunale ed abbiamo scoperto che i fascicoli del primo e del terzo omicidio erano stati distrutti per ragioni di spazio. Abbiamo così potuto rimettere le mani solo sui fascicoli rimanenti, scoprendo poi ad una ricognizione successiva (per un altro caso che non c’entra con questi) che anche i due fascicoli sopravvissuti non si trovano dove dovrebbero essere: non sono stati rimessi a posto e probabilmente abbandonati chissà dove in Tribunale. Le fotografie mancanti siamo riusciti a recuperarle grazie all’archivio della Polizia Scientifica di Parma in Questura, con la quale abbiamo lavorato insieme per realizzare le mostre “Parma vista con gli occhi della Polizia Scientifica”.

Entrando nella storia di quei delitti: quattro vittime con i nomi delle nostre nonne che non hanno avuto giustizia. Chi erano Domenica, Ermina, Elda e Bianca? Quattro donne molto diverse fra loro. L’unico elemento in comune era il fatto che vendevano il loro corpo. Domenica oggi la definiremmo una escort di alto bordo che amava circondarsi di personaggi altolocati, Ermina era invece l’esatto opposto. Si vendeva per poche lire e viveva in un anfratto ricavato all’interno del tiro a segno in via Reggio. Non aveva una casa e la sua situazione è sicuramente la più triste di tutte e quattro le vittime. Elda, pur molto giovane, aveva già avuto guai con la legge, prendendo parte ad alcune truffe come complice. Il suo delitto è quello più brutale, ma che ci racconta molto del suo assassino. Bianca viene uccisa dieci anni dopo, i tempi stavano già cambiando. È stata l’unica vittima ad essere uccisa all’interno di una stanza dove si prostituiva, in centro storico. Era molto amica di Ermina e l’ultimo caso ci mostra molte differenze con quelli precedenti, ma per una serie di ragioni non è possibile escluderlo dai precedenti.

Il Mostro non ha mai avuto un volto e un nome. Troppo bravo lui a non farsi prendere o lacunose le indagini?
Nessuna delle due. L’assassino era poco organizzato e le indagini sono state fatte nel migliore dei modi possibili all’epoca: niente prove biologiche, niente tecnologia e pochissima esperienza in casi di questo tipo. Nelle indagini possiamo considerare due momenti: gli anni Cinquanta e l’ultimo caso nel 1967. Negli anni Cinquanta gli inquirenti hanno lavorato molto bene con i mezzi a loro disposizione. Sono state sospettate molte persone e tra loro c’era anche quello che secondo noi era il colpevole. Lo avevano individuato, l’alibi reggeva fino ad un certo punto, aveva i mezzi e le opportunità. La Squadra Mobile e i Carabinieri erano certi di averlo preso, ma poi un magistrato decise di lasciar perdere e i casi vennero tutti archiviati contro ignoti. L’assassino, come abbiamo detto, non era particolarmente organizzato, ma - secondo noi - è stato certamente capace di tenere testa ai pressanti interrogatori di quei tempi e a manipolare persone a lui vicino per fornirgli un alibi che comunque non bastava per scagionarlo.

Quale era il modus operandi dell'assassino?
L’assassino era un serial killer, in tre casi su quattro ha ucciso la vittima soffocandola, premendole il viso contro il terreno o contro qualcosa di morbido come un cuscino. La sola vittima che è stata strangolata è stata Elda Belmessieri, ma quella fu una seconda scelta perché aveva fallito nell’intento di soffocarla.

Davvero non sarebbe più possibile riaprire il caso delle quattro “mondane” ammazzate? Hanno addirittura chiesto di riaprire il caso di Jack lo squartatore.
In occasione della seconda mostra “Parma vista con gli occhi della Polizia Scientifica” nel 2023 abbiamo avuto la partecipazione anche dell’Istituto di Medicina Legale che ci ha fornito dei reperti da mettere in mostra. In quella occasione abbiamo avuto modo di visitare il loro archivio dei corpi di reato, ma non è stato possibile recuperare un solo reperto di quell’epoca. Niente Dna. Al cimitero della Villetta è rimasta soltanto la celletta ossario di una delle vittime e quello che secondo noi era il colpevole è morto da moltissimo tempo. Non c’è nessuna possibilità che le vittime possano ottenere giustizia, addirittura i fascicoli sono andati persi o distrutti. Le uniche copie le possediamo noi.

Quale sarà il prossimo caso parmigiano a cui vi dedicherete?
Abbiamo da poco iniziato a selezionare i casi da trattare nel terzo volume di Parma vista con gli occhi della Polizia Scientifica che questa volta si concentrerà nel periodo storico che va dal 1970 al 1992: dagli Anni di Piombo a Tangentopoli. Completiamo così una trilogia che è stata molto apprezzata a livello locale.

Paola Guatelli

© Riproduzione riservata

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