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Intervista

Luca Barilla: «Istruzione e rispetto per un mondo migliore»

Luca Barilla: «Istruzione e rispetto per un mondo migliore»

di Claudio Rinaldi

24 Marzo 2025, 03:01

Luca Barilla, il Mulino Bianco compie cinquant’anni. Un bel pezzo di storia della Barilla, e non solo.
«Eh sì, direi anche un bel pezzo di storia dell’Italia e degli italiani, perché questo magico brand è riuscito a riunire, intorno a un tavolo, italiani dalle provenienze più disparate e culture più diverse, attraverso il consumo di questi prodotti sorprendentemente buoni. È entrato nelle nostre vite e continua a restarci: è, per milioni di persone, un elemento fondamentale della vita quotidiana. Ne siamo molto orgogliosi».

Con 148 anni di storia alle spalle, il gruppo Barilla è uno dei più importanti ambasciatori del Made in Italy. Quanto pesa oggi?
«Pesa tanto, grazie alla eccellente reputazione che il Made in Italy si è guadagnato nel mondo. Noi italiani siamo invidiati da chiunque visiti il nostro Paese, osservi i nostri costumi, assaggi i nostri cibi, indossi i nostri abiti, provi certe nostre automobili. Anche la Barilla, con i suoi prodotti, ha avuto un ruolo e ha portato un contributo nel potenziare il valore del Made in Italy, soprattutto facendo conoscere la buona pasta nel mondo. E continuerà a farlo, perché c’è ancora tanto spazio e il nostro obiettivo è insistere su questa strada».

Come?
«Continuando a lavorare bene, impegnandosi al massimo, facendo tanta innovazione. La strada è questa: difficile, perché la concorrenza è diventata globale anche su prodotti tipicamente italiani. Ad esempio, ci sono aziende straniere cresciute molto che diventano una minaccia commerciale. Ma è certo che, se riusciremo a conservare la nostra sensibilità, il nostro gusto, la nostra passione per le cose fatte bene, in campo alimentare e non solo, il futuro del Made in Italy sarà roseo».

Come sta evolvendo il mercato, in Italia e nel mondo?
«A due velocità. In Italia sta un po’ rallentando, a causa di un’economia debole e di un potere d’acquisto diminuito soprattutto a causa dell’inflazione. Sono un po’ cambiati i consumi: la gente tende a risparmiare perché ha delle incertezze sul futuro, e a volte preferisce comprare i prodotti più economici. Aziende come la Barilla devono impegnarsi, con ancora maggiore intensità, per non registrare cali nelle vendite e controbattere l’offensiva dei prodotti a basso costo, che non possono garantire la stessa qualità dei prodotti di marca».

E all’estero?
«Lo scenario è completamente diverso. Notiamo sempre maggiore attenzione e apprezzamento per i prodotti di qualità italiani: crescono i volumi, crescono le vendite e crescono gli spazi che le grandi catene di supermercati – penso soprattutto agli Stati Uniti – dedicano ai prodotti italiani. Negli ultimi decenni la Barilla ha aperto diverse fabbriche in altri Paesi, a partire dall’America. I prodotti che facciamo all’estero sono della stessa identica qualità di quelli che facciamo in Italia, perché le persone, le tecnologie e gli ingredienti sono gli stessi. Sono prodotti fatti all’estero, ma da italiani. Questo è il valore che vogliamo preservare. Tutto parte dall’Italia: questo è l’elemento fondamentale per avere successo all’estero».

Cosa pensa delle minacce di Trump di imporre dazi anche all’Europa?
«La Barilla non entra nel merito delle questioni politiche: nel nostro caso specifico, affrontiamo queste minacce con una certa serenità proprio perché, per lungimiranza, molti anni fa abbiamo investito in stabilimenti produttivi in Paesi strategici, come gli Stati Uniti».

Quali investimenti avete in programma nel breve e nel lungo periodo?
«Da alcuni anni abbiamo avviato un programma di investimenti molto consistente, per circa 200-230 milioni all’anno. Continueremo per i prossimi anni: non ci fermeremo finché potremo permetterci di sostenerli. Fare investimenti significativi è fondamentale per preservare l’integrità dell’azienda, la sua forza e la sua competitività. Più o meno la metà degli investimenti è destinata all’Italia, che è per definizione il nostro mercato più importante, e per metà ai mercati esteri, dove puntiamo per una crescita importante».

Poco più di un anno fa avete aperto un nuovo polo a Amsterdam, precisando da subito che la testa e il cuore dell’azienda sarebbero rimasti a Parma. Come sta andando?
«L’esperienza si sta rivelando positiva. Ad Amsterdam lavora una parte del gruppo dirigente, le persone si stanno trovando bene e stiamo vedendo i primi timidi risultati. È un investimento sul futuro della Barilla. Abbiamo chiarito che non è certo una fuga dalla fiscalità italiana, perché continuiamo e continueremo a pagare le tasse in Italia: l’obiettivo principale di questo polo di sviluppo internazionale è attrarre verso la Barilla i migliori talenti tra i giovani provenienti da diverse parti del mondo. Da questo punto di vista siamo contenti: stiamo assumendo giovani, sia italiani che stranieri, che avrebbero avuto difficoltà a lavorare in Italia. Siamo convinti che l’unione di tante culture diverse, i cervelli freschi, i giovani con una visione globale del mondo daranno benzina alla Barilla per il suo sviluppo futuro».

La Barilla resterà per sempre italiana?
«Assolutamente sì. I fratelli Barilla sono felici di stare in Italia e non hanno nessuna intenzione di trasferirsi all’estero. Il polo di Amsterdam è un ufficio che ci permette di essere più attrattivi, tutto qui».

Siete da sempre, orgogliosamente, un’azienda di famiglia: come vi preparate al passaggio generazionale?
«La Barilla è un’azienda orgogliosamente italiana, orgogliosamente familiare e lo resterà in futuro. La prossima generazione è composta dai nostri figli, sono ragazzi ancora giovani, dai 23-24 ai 27-28 anni, che hanno fatto i loro studi con profitto, si sono formati anche all’estero. Tutti passaggi importanti per la loro preparazione, per le responsabilità che dovranno assumersi. Tutti i nostri figli sanno che le porte della Barilla sono aperte: ma per poter entrare dovranno dimostrare di avere talento, passione, dedizione, voglia di lavorare. E sanno che si dovranno confrontare all’interno dell’azienda con tanti giovani di altissima qualità intellettuale e professionale. Oggi posso dire, con una certa serenità, che sono su quella strada: si stanno preparando bene, qualcuno di loro si sta inserendo in azienda attraverso un percorso di formazione, senza incarichi operativi di responsabilità. Terminato questo percorso, di almeno due anni, si valuteranno le qualità e le predisposizioni, e poi si individuerà il posto in azienda che valorizzi al meglio le propensioni e il percorso di studi».

Lei e i suoi fratelli camminate nel solco di vostro padre, grande imprenditore e grande uomo: quanto sono attuali i suoi insegnamenti? Penso in particolare a come ha interpretato la leadership, alla sua lungimiranza, al coraggio che ha dimostrato per tutta la carriera.
«Il papà è stato il più grande maestro che ho avuto nella mia vita, la persona a cui devo di più: i suoi insegnamenti, i valori che ha trasmesso a me e ai miei fratelli - che a nostra volta stiamo trasferendo ai nostri figli - sono eterni. Lo sono perché appartengono alla natura dell’uomo buono e positivo. Cambiano i tempi e le generazioni, ma non i valori, i principi sani a cui ci ispiriamo».

Quali sono i valori più importanti?
«Il primo è la famiglia, il secondo il lavoro. E poi tanti altri: il rispetto per tutto e per tutti, il concetto di verità, il rispetto delle regole, del prossimo, dell’ambiente. Alla Barilla non si mente: lo diceva il papà e sarà per sempre così. Vogliamo che non possa mai esserci, mai!, una circostanza che costringa qualcuno della Barilla a dover arrossire. È grazie a questi principi che la nostra azienda ha conservato l’integrità: al di là dei risultati, che ovviamente sono importanti, il primo obiettivo è essere un’impresa solida, dalla buona reputazione, amata dal grande pubblico e quindi, per tutti questi motivi, con un futuro davanti a sé».

Di cosa ha bisogno il nostro Paese per crescere?
«Viviamo da decenni una situazione precaria: dal punto di vista politico e sociale, abbiamo perso dei riferimenti preziosi che rappresentavano una bussola per i comportamenti delle persone e delle imprese. Io credo che, per garantire un futuro alle prossime generazioni, dovremmo progredire in tanti settori: dalla ricerca scientifica alla giustizia, dal fisco al mondo dell’istruzione.

Cosa si può fare?
«Il primo passo da fare è la lotta all’evasione fiscale. Se tutti pagassero le tasse la situazione in Italia migliorerebbe enormemente. Perché – mi chiedo – non investiamo in risorse umane e in strumenti tecnologici per evitare questo enorme danno alla nostra economia?».

Parliamo di Parma. Cosa manca perché il territorio riesca ad attrarre competenze e investimenti?
«Come tante altre città di provincia, Parma dovrebbe investire di più per attrarre giovani, e non solo giovani, di talento. Solo così si può garantire un futuro alla città, arricchendo la professionalità nelle aziende e nei laboratori. Poi l’importanza di continui investimenti per migliorare i servizi, le infrastrutture, i sistemi efficienti di collegamenti ferroviari, stradali e quelli dell’aeroporto. C’è bisogno anche di maggiore sicurezza: non è solo un problema di Parma, è purtroppo un tema nazionale, comune a tante città.»

Come si può risolvere il problema?
«Difficile avere una risposta. Il mondo ha preso una brutta deriva, che io sono convinto dipenda soprattutto dalla mancanza di cultura, dall’ignoranza. Se fossimo stati istruiti meglio, se ci avessero insegnato i principi sani della buona convivenza tra popoli, tra persone di culture, religioni e idee politiche diverse, se ci avessero insegnato il rispetto reciproco, non ci sarebbero le guerre che oggi terrorizzano tutti noi. Il rispetto è alla base di tutto: lo impari prima di tutto in famiglia, poi a scuola e quindi sul lavoro. Questi sono i tre pilastri che costituiscono le fondamenta dell’essere umano: se ne viene a mancare uno, la formazione dell’essere umano non può considerarsi completa».

Rispetto e istruzione. Bisogna ripartire da qui?
«Non c’è alternativa. Bisogna insistere su questo per l’educazione delle nuove generazioni. A proposito di educazione, a scuola oggi c’è molta maleducazione, ad esempio con alunni che non rispettano gli insegnanti. Intollerabile, secondo me. Per fortuna, ci sono anche tanti, tantissimi giovani in gamba. In Barilla abbiamo ragazze e ragazzi pieni di buona volontà, che hanno studiato, che si impegnano, che sono rispettosi».

Sono loro il futuro.
«Sì, te ne accorgi subito: vedi il loro desiderio di crescere, di dedicarsi con passione al lavoro. Pensando a loro prevale l’ottimismo. Dobbiamo premiare il loro impegno: per esempio, sostenendo sempre più la meritocrazia. È fondamentale: a scuola, nelle aziende, ma anche nei governi, dappertutto. È scomoda, la meritocrazia: non è sempre facile valutare in modo corretto, non pensando al sentimento personale. È nella natura dell’uomo. In Barilla ci stiamo impegnando molto per far sì che il concetto della meritocrazia sia il faro illuminante di ogni valutazione e di ogni decisione; ne parliamo spesso tra noi fratelli, insieme ai manager. Anche qui, è sempre viva una lezione che ci ha dato nostro padre: “Ricordatevi – ci ripeteva– che noi siamo al servizio dell’azienda e non viceversa. Dobbiamo fare gli interessi della Barilla, non i nostri: se poi le due cose coincidono, benissimo”. Oggi come ieri, ragioniamo allo stesso modo, partiamo dagli interessi dell’azienda. Nostro padre è stato per tutta la vita un servitore della Barilla. Ed è quello che ci impegniamo a fare, ogni giorno, io e i miei fratelli».

Claudio Rinaldi

© Riproduzione riservata

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