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Imma Villa dalla serie su Avetrana a Teatro Due: «Un femminiello alla ricerca della sua identità»

Imma Villa dalla serie su Avetrana a Teatro Due: «Un femminiello alla ricerca della sua identità»

di Mara Pedrabissi

02 Aprile 2025, 10:08

Imma Villa torna a Parma, a Teatro Due da sabato 5 a mercoledì 9 aprile alle 20.30, nei panni scarnificati di «Scannasurice», femminiello dei Quartieri Spagnoli di Napoli sconvolti dal terremoto del 1980: un'identità smarrita tra le macerie della storia e di una quotidianità terremotata, là dove gli uomini si trovano faccia a faccia con i topi («surice»).

Imma Villa, questo spettacolo dal testo di Enzo Moscato, vincitore del Premio della critica nel 2015, è un classico della contemporaneità. Un successo non scontato per spettacoli in un dialetto - qualsiasi dialetto, non solo il napoletano - o che trattano temi e argomenti ben delimitati geograficamente. Qual è il segreto, secondo lei?

«Intanto, lo abbiamo portato anche a Mosca, subito un paio di anni dopo il debutto, a un festival teatrale di monologhi, con la traduzione “in diretta” in russo: ci fu una grande attenzione, la storia del femminiello interessò molto. Credo che il testo di Enzo Moscato, che purtroppo non c'è più, sia arrivato a tutti gli spettatori: parla di un terremoto interiore che è universale. Sì, è il terremoto a Napoli degli anni '80 però è un terremoto anche culturale, sociale, attraverso la diversità di Scannasurice che non riesce a trovare un'identità. Nella messa in scena, Carlo Cerciello si è immaginato un personaggio né maschio né femmina, un ibrido che non trova posto nella società».

Con quali espedienti teatrali è entrata nella parte? Lei non ha nulla di androgino.

«Ci sono entrata con grande piacere. Certo, l'aiuto arriva sempre dalla regia e, in realtà, è stato più facile di quello che si potesse pensare. Inizialmente Carlo, insieme a Daniela Ciancio la costumista, avevano costruito un femminiello da “cliché”. Quindi con la parrucca bionda, il tacco... Poi lavorandoci, ci siamo resi conto che questa persona è in casa sua, dunque con una canottiera, una mutanda da uomo, in “desabillé”, senza fronzoli, senza piume, senza orpelli. Abbiamo scarnificato completamente l'immagine di questo personaggio, cancellando anche i capelli, raccolti in una retina. Resta solo il trucco, un po' felliniano».

Carlo Cerciello, il regista, è anche il suo compagno di vita. Insieme condividete molti premi vinti e la concezione del teatro come “provocazione”: qualcosa che fa uscire lo spettatore dalla «confort zone».

«Sì. Lavoriamo insieme dal 1994. Il teatro è un luogo di riflessione. Qualsiasi tipo di teatro è politico, è sociale: è fatto per le persone che, quando escono, sono diverse, in accordo o in disaccordo con ciò che hanno visto».

Una domanda che già le avranno fatto in tanti: come si fa a stare 31 anni insieme e a lavorare insieme senza litigare?

«Eh, la cosa bella è che, finite le prove, c'è un tacito accordo, per cui si torna persone normali con i problemi quotidiani. A casa, non parliamo di quello che abbiamo provato in teatro. Ci rivediamo il giorno dopo e ne discutiamo il giorno dopo. Questo può essere un piccolo escamotage per convivere».

A febbraio è stata applauditissima, ancora qui al Due, nelle «Troiane», sempre per la regia di Cerciello. Ma tra i lavori che lei ha fatto di recente, c'è stata una delle serie italiane più discusse, fin dal titolo, «Qui non è Hollywood», sul delitto di Avetrana, in cui interpreta la madre di Sarah Scazzi. Rispetto a un personaggio di finzione letteraria, quanto è stato più difficile restituire un personaggio reale, che la cronaca ci aveva già raccontato nel suo dramma?

«Devo dire che è stato molto faticoso. E immagino anche la fatica di Vanessa Scalera che interpretava Cosima. Ho guardato i video di Concetta Serrano Spagnolo, la mamma di Sarah, togliendo l'audio per concentrarmi meglio su di lei. Vedevo nei suoi occhi una grande sofferenza, ma anche una donna sempre lucida, sempre presente a se stessa, dal di fuori. Quindi questo suo tormento interiore, io me lo sono riportato a casa, quando lavoravo sul set. Altri personaggi hanno avuto modo di esprimere il loro stato d'animo anche con un urlo, un pianto o un oggetto buttato per aria. Forse la fede per questa donna è stata l'unica salvezza? Me lo sono chiesta spesso».

Infine, aspettando Scannasurice», cosa vuol dire al pubblico di Parma?

«È una storia che può avere più livelli ma soprattutto, secondo me, mette nel cuore tanta tenerezza. E ne abbiamo bisogno perché c'è tanto odio in giro».

Informazioni: biglietteria@teatrodue.org.

Mara Pedrabissi

© Riproduzione riservata

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