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GLI INTERVENTI

Buia contro i dazi, Fubini: «In frantumi la nostra idea di Occidente»

Buia contro i dazi, Fubini: «In frantumi la nostra idea di Occidente»

di Andrea Violi e Luca Molinari

08 Aprile 2025, 03:01

Buia

I dazi? «Un intervento a gamba tesa» di Trump. Ricorre al gergo sportivo, il presidente dell’Unione parmense degli industriali Gabriele Buia, per sintetizzare il suo giudizio sul fattore che metterà i bastoni fra le ruote alle previsioni ottimistiche registrate fra le aziende a inizio anno. Nel 2024 l’economia di Parma e provincia ha mantenuto un equilibrio generale, pur fra alti e bassi fra i vari settori. Le previsioni delle imprese erano positive ma adesso con i dazi l’incertezza è notevole. Il presidente Buia ha tracciato la sua analisi aprendo il pomeriggio di dibattito sulla «Analisi congiunturale dell'economia parmense» all'Upi.

Buia critica la decisione di Trump di apporre dazi alla Ue. Tra l'altro, in un momento in cui il sistema europeo era già in difficoltà a causa di «tematiche Green Deal troppo spinte», che «hanno messo in difficoltà automotive e gomma-plastica in Italia».

«Non abbiamo un’Europa che rispecchia gli elementi fondanti dei padri fondatori - ammonisce Buia -. L’Europa dei 27 non riesce a individuare un tragitto comune. Veti contrapposti indeboliscono le politiche europee, delle quali abbiamo bisogno per competere con gli altri continenti», dall’Asia alle Americhe. «C’è bisogno di un’Europa forte, decisa, univoca nelle decisioni».

Un fattore che pesa sul sistema economico è il costo dell’energia, molto alto in Italia rispetto a Paesi come la Spagna (anche del 50% in più). Investiamo molto in energia rinnovabile ma, ricorda Buia, altri Paesi beneficiano del nucleare. «Il gas è un altro fattore di forte preoccupazione - aggiunge -. Da febbraio 2024 a febbraio 2025 il costo è raddoppiato. Ora arriva a gamba tesa lo tsunami dei dazi che rischia di creare un blocco sul mercato mondiale e di far crescere l’inflazione americana».

Per l’industria parmense i segnali sono stati positivi nel 2024, seppur con un calo rispetto agli anni precedenti. «Ci sono filiere in difficoltà come la meccanica, la gomma-plastica, il vetro, che è molto energivoro - ricorda Buia - ma altri settori sono in crescita e trainano l’equilibrio generale del Parmense. Restano motivi di preoccupazione pere le Pmi, perché faticano più di altre ad adeguarsi al cambiamento, ma l’equilibrio c’è. Nel 2024 è aumentato molto l’export verso Europa e America, diventata il primo mercato di riferimento. Su 10 miliardi di euro, un miliardo e mezzo è stato destinato agli Stati Uniti grazie ad alimentare, farmaceutica e impiantistica alimentare».

Le previsioni per il 2025? Nei primi mesi dell’anno erano ottimistiche. Rilevazioni recenti ma, traspare dalle parole di Buia, già relegate al passato: «Pensavamo di arrivare ad esportare di più e di definire politiche di sviluppo territoriale concrete». Ma adesso bisogna affrontare l’incognita dei dazi. «Abbiamo provato a fare un’ipotesi di impatto sull’industria parmense; dipenderà dalle aliquote e dalla durata dei dazi, dall’elasticità della domanda e capire se le filiere potranno sopperire. Ma spero che l’Europa sappia sedersi a un tavolo di confronto e trovare soluzioni».

Non cambiano invece alcuni problemi come le piuttosto diffuse difficoltà nel reperire manodopera specializzata, con le azioni - ricorda Buia - a favore di Its e altri sistemi di formazione. «Il nostro sistema regge perché questo territorio si basa molto su qualità del prodotto e investimenti in sostenibilità - conclude -. Sono diventati valore aggiunto nella produzione». Dobbiamo lavorare tanto per accrescere il valore aggiunto della produzione industriale «per distribuire ricchezza sul territorio, è essenziale per noi. La forbice sociale sta preoccupando molto. Dobbiamo pensare a forme di ristoro» di fronte alla perdita di potere d’acquisto, con politiche che non penalizzino le industrie e nel contempo sostengano la coesione sociale.

Andrea Violi

Fubini

«Mi vergogno un po' a spiegarvi come gira il mondo, semmai dovrebbe essere il contrario».

Federico Fubini, vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, rivolgendosi ai tanti imprenditori in sala, ha esordito con una constatazione: «Quella che conosco è l'Italia del costante lamento, che sposta la colpa su chiunque altro. Qui invece ho visto illustrare dei dati positivi e un focus su ciò che conta realmente per la creazione di valore; più che un'analisi è stato un invito a rimboccarsi le maniche attraverso un approccio realistico, tutt'altro che pessimista, che arriva dopo una serie di choc con cui abbiamo dovuto fare i conti negli ultimi anni».

Le radici

Fubini è partito da lontano - dall'idea di globalizzazione di Clinton, dalla crisi dei mutui subprime e dalle scelte politiche che hanno portato all'avvento di Putin in Russia - per spiegare come nascono e a cosa servono i dazi imposti da Trump. «La caduta delle borse - ha spiegato - secondo Trump è un sacrificio da accettare per ottenere una trasformazione positiva degli Usa a livello economico e finanziario».

Il primo obiettivo

Il primo obiettivo è quello di spingere le imprese straniere a trasferire impianti produttivi negli Stati Uniti. «Parlando coi nostri grandi imprenditori - ha sottolineato - emerge che le aziende al momento non vogliono delocalizzare negli Usa, perché c'è troppa volatilità».

La rivalità con la Cina

C'è poi una considerazione strategica legata alla rivalità con la Cina. L'intento è di poter disporre di una maggiore autonomia nella produzione di determinati beni. «Oggi la Cina ha una capacità produttiva di auto superiore alla domanda mondiale - ha ricordato Fubini -, controlla il 77 per cento del cobalto mondiale ed è il principale produttore di materie prime al mondo».

«Più autarchici»

«L'idea di Trump - ha proseguito - è che gli Usa devono essere sufficientemente autarchici e indipendenti sul piano della produzione. Il presidente Usa non si fida nemmeno dell'Europa perché troppo dipendente dalla Cina in determinati approvvigionamenti».

Quanto alla visione geopolitica, «l'idea è quella di prepararsi a un eventuale conflitto con la Cina».

Il peso del debito

C'è poi una ragione finanziaria che si lega ai dazi. «Gli Usa sono il più grande Paese debitore al mondo - ha rimarcato - con un debito al 120 per cento del Pil. Il finanziamento estero del deficit è molto importante per gli Usa: c'è un tema di cosciente vulnerabilità rispetto al rischio che si alzino i rendimenti e il Paese finisca in recessione».

«Arma negoziale»

«Il finto piano di risanamento di Musk sono briciole - ha proseguito - i dazi sono un'arma negoziale, un modo per spingere gli altri Paesi a stringere accordi: in cambio dell'accesso ai consumatori americani, i Paesi si impegnano a finanziare il deficit pubblico americano nel medio e lungo periodo». «Il vero obiettivo dei dazi è quest'ultimo - ha ribadito - unito al fatto che il dollaro è disallineato e ha bisogno di una svalutazione del 20 per cento. È evidente che un sistema del genere è in forte tensione».

Forti squilibri sociali

Anche i forti squilibri sociali che caratterizzano gli Usa sono pericolosi. «Il 62 per cento degli americani che ha investito nella borsa Usa - ha precisato - da quando Trump è presidente ha perso in media 47.500 dollari per la caduta dei valori azionari. Una cifra che è destinata a salire ulteriormente».

Secondo Fubini «l'esperimento di Trump è destinato a fallire perché vuol far pagare al resto del mondo la reindustrializzazione degli Usa. Fallirà anche perché il 38 per cento della popolazione Usa che non ha investito in azioni sarà travolto dall'inflazione, il 62 per cento restante dovrà fare i conti con l'inflazione e il crollo dei valori azionari». «È andata in frantumi la nostra idea di occidente - ha concluso- siamo davanti a un importante cambio di paradigma».

Luca Molinari

© Riproduzione riservata

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