ANALISI CONGIUNTURALE
Agroindustria, impiantistica alimentare e farmaceutica sono i tre pilastri che hanno permesso all’economia di Parma di reggere, nel 2024, di fronte ai tanti problemi del momento. Le esportazioni hanno superato quota 10 miliardi di euro. E il primo mercato di sbocco sono proprio gli Stati Uniti che ora applicano dazi all'Ue. Anche nei confronti di quei prodotti Dop e Igp che, lattiero-caseario in testa, contribuiscono alla forza del settore alimentare nell'export.
L'Analisi congiunturale dell'economia parmense, a Palazzo Soragna, è sviscerata in primis da Valentina Ruberto, responsabile dell'Ufficio studi dell'Upi, e da Pier Luigi Marchini, prorettore dell’Università e professore ordinario di Economia aziendale. La giornata di dibattito, moderata dal direttore della Gazzetta di Parma Claudio Rinaldi, ha visto al tavolo il presidente dell'Upi Gabriele Buia, Federico Fubini, inviato ed editorialista di economia del «Corriere della Sera», Andrea Ragaini (Banca Generali) e Marcello Demeglio (Tim Enterprise).
L'indagine ha coinvolto 145 aziende Upi, con un fatturato totale di 10 miliardi e oltre 23mila addetti. L'economia parmense tiene e gli indicatori ne confermano la forza. Manifattura e costruzioni valgono circa il 38% del valore aggiunto. Quanto all'export, nel 2024 Parma è 19esima in Italia. Le esportazioni ammontano nel 2024 a 10,077 miliardi (+2,3% sul 2023), con un incremento in particolare dell’alimentare. Gli Stati Uniti assorbono il 15% dell'export di Parma (e i valori sono più che triplicati nel giro di dieci anni); Francia 13%, Germania 12%, Regno Unito e Spagna 5%.
«A fine 2024 e inizio 2025, il contesto economico era in frenata fra area Euro e Stati Uniti, già prima dell’annuncio dei dazi», spiega Ruberto. Per quanto riguarda Parma, i settori trainanti sono alimentare, impiantistica alimentare e chimica-farmaceutica, che tra l'altro non dovrebbe essere coinvolta dai dazi americani. E avere molti settori permette al Parmense di differenziare e «di avere un territorio più resiliente».
L'occupazione è cresciuta di 1% e nel 2025 il dato è orientato alla stazionarietà, con previsioni di crescita. «Si cerca di tenere il personale e mantenere le professionalità, anche per un cambio generazionale», sottolinea Ruberto, che aggiunge: per il primo semestre le previsioni espresse a gennaio-febbraio non sono negative (ma in quel momento i dazi si limitavano a una minaccia).
Marchini si focalizza poi su alcuni aspetti: investimenti, modalità di finanziamento delle imprese e le criticità per l'immediato futuro.
Gli investimenti - più fra le grandi imprese che fra le Pmi - nel complesso tengono. L'importo dedicato agli investimenti è 587 milioni di euro nel 2024 e per il 2025 la previsione è di 536 milioni. Il professore evidenzia due aspetti positivi: «Nel 2024, il 95% delle imprese ha dichiarato di compiere investimenti; il 94% ha dichiarato che lo farà anche nel corso del 2025. Le imprese dimostrano di voler investire in più ambiti della propria gestione aziendale». Aumentano del 10% gli investimenti in tutela e sostenibilità ambientale: si passa dal 35% al 45% del totale delle imprese fra 2024 e 2025. Ma si investe anche in stabilimenti e infrastrutture, digitale, formazione del personale, commercio estero. Stabili invece gli investimenti produttivi all'estero.
Il fattore umano è fondamentale e la difficoltà nel reperimento di personale adeguato è uno dei temi ricorrenti nella vita di molte aziende. Non fa eccezione l'analisi congiunturale: «Sui temi di formazione del personale e organizzazione / modelli di business - aggiunge Marchini - 85% delle imprese che hanno investito nel 2024 lo ha fatto per scelta aziendale e non perché guidata da richieste normative. Il 42% lo ha fatto per certificazioni volontarie».
La difficoltà nel reperire risorse umane rappresenta il secondo principale fattore di ostacolo agli investimenti (39% dei casi). Il primo in assoluto è la burocrazia (54%). Tra i fattori c'è chi indica (16%) la difficoltà di reperimento di risorse finanziarie.
Le modalità di finanziamento sono a loro volta un tema clou nella vita delle aziende. «Nel 2024 - dice Marchini - la fonte principale di investimento è il capitale proprio, la seconda i prestiti bancari. Seguono i finanziamenti pubblici e da ultimo il finanziamento a titolo di debito dei soci. Diminuisce di cinque punti percentuali la richiesta di finanziamento ai soci sotto forma di capitale e aumenta l'ipotizzata richiesta di prestiti bancari. E c'è una chiara preferenza verso gli impieghi di capitale proprio fra le piccole imprese». Al contrario i prestiti bancari sono più rilevanti fra le grandi aziende.
Le aziende del campione potevano descrivere nei particolari i loro problemi più ricorrenti. Nel 33% dei casi, spiega il professore, si segnalano problemi legati agli specifici mercati e al settore di riferimento. Il 24% indica la difficoltà di reperire personale qualificato. Il 20% del campione lamenta fattori generali esterni: il sistema-Paese, il perdurare delle guerre, i dazi (che probabilmente oggi otterrebbero percentuali di preoccupazione più marcate). Il 18% delle imprese soffre problemi di reperimento delle materie prime e preoccupazione per i costi energetici. Nel 5% dei casi emergono difficoltà da parte delle imprese di fare digitalizzazione. «L'innovazione - conclude Marchini - è valutata come un'opportunità ma le imprese temono di non poter sfruttarla appieno».
Andrea Violi
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