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Il signore degli abissi

Umberto Pelizzari: «Imparate a respirare»

Pelizzari: «Imparate a respirare»

di Pietro Razzini

09 Aprile 2025, 03:01

È stato il primo uomo a toccare il muro dei 150 metri sotto il livello del mare in assetto variabile no limits. Ha conquistato sedici record del mondo. Umberto Pelizzari è, ancora adesso, il simbolo di uno sport, l’apnea, tanto affascinante quanto misterioso. Oggi gestisce l’Apnea Academy, lavora nel mondo televisivo, è un affermato mental coach e scrive libri. L’ultimo si intitola «Con la forza del respiro»: «È un testo motivazionale, non un volume tecnico. Nel corso degli anni ho trovato sempre più affinità tra la quotidianità e il mio sport. E mi sono reso conto come in ogni risultato raggiunto, il respiro abbia avuto un peso rilevante. Non parlo solo a livello di performance atletica ma anche nelle attività di tutti i giorni».

In che senso?

«Se fatto nel modo giusto, il respiro permette di togliere stress, tensioni, ansie. Non ce ne rendiamo conto purtroppo ma abbiamo a disposizione un’arma importante, che spesso neppure immaginiamo di possedere e che non usiamo a nostro vantaggio».

Nel libro si legge: «Non si scende in apnea per vedere ma per guardarsi dentro». Che significa?

«Quando si mettono le bombole sulle spalle, si va in acqua e si portano in superficie le fotografie da mostrare agli amici. Quando l’apnea è fatta a un certo livello, le emozioni sono estremamente intime. È tutta un’altra cosa. Porto un esempio per far comprendere meglio».

Prego.

«La didattica è una parte importante del mio attuale lavoro. Sono seguito da diverse tipologie di allievi: dall’impiegato al libero professionista, dallo studente allo sportivo. Un giorno dissi a un manager: “Persone come te, abitualmente scelgono il golf. Perché l’apnea?”. La sua risposta: “Un’ora di apnea mi permette di aprire le finestre in me stesso, cambiare aria, ripulire e rigenerare il mio corpo”».

Come si lavora sul concetto di limite?

«Viene in aiuto l’esperienza e la capacità di confrontarsi con il proprio io. La forza di immaginare qualcosa al di fuori della nostra portata e lavorare, uscendo dalla propria zona di comfort, per trasformarla in obiettivo».

Qualche aneddoto curioso a questo proposito?

«Ricordo la prima volta che il mio staff mi propose di raggiungere i “meno 150 metri”. Io annui solo per non sentirli continuamente ripetere che era possibile. Quando ottenni il risultato, ripensai a quel momento e a tutti i limiti che avevo superato durante il percorso».

Torna assolutamente di moda allora la frase «l’impossibile è un’opinione».

«La disse Enzo Maiorca davanti al medico che non voleva farlo scendere a 50 metri dicendo che era una missione impossibile. La sua impresa è stata una porta aperta verso le nostre discese nel blu».

Quanto è stato importante l’esempio di sportivi come lui e come Jacques Mayol?

«Jacques è stato il mio maestro: il primo a dare valore alla mente nell’apnea. I suoi insegnamenti mi sono ancora utili oggi. Enzo, invece, è entrato più tardi nella mia vita: oltre a un grande amico, è stato un fantastico ispiratore. Con lui ho parlato più di vita che di tecnica subacquea».

A cosa serve andare oltre i propri limiti?

«Per rispondere racconto questa storia: ho fatto parte per diversi anni del team “No Limits”. Con me c’erano atleti estremi come Manolo e Patrick de Gayardon. Ogni volta che ci incontravamo ci si dava del pazzo a vicenda, per le imprese che si raggiungevano. All’epoca lavoravamo con il professor Vittorino Andreoli che ci ripeteva: “L’evoluzione sta nella capacità dell’uomo di andare oltre, di affrontare i pericoli e di superarli. Tutti i giorni della nostra vita. Anche nelle piccole cose”».

Pietro Razzini

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