MUSICA
Questa sera alle 20:30, all'Auditorium Paganini, sarà la direttrice messicana Alondra de la Parra a salire sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini, all'interno della sua Stagione Sinfonica. In programma ci saranno «Danzón» di Márquez, il Concerto in fa di Gershwin, con Thomas Enhco come pianista solista, e «Shéhérazade» di Rimskij-Korsakov che dà il titolo alla serata.
Come si è avvicinata alla musica in generale e alla direzione d'orchestra in particolare?
«Sono stata a contatto con la musica sin da quando ero molto piccola, grazie ai miei genitori che erano profondamente melomani. Suonavo nell'orchestra dei bambini a scuola: ho studiato pianoforte dai sette anni e violoncello dai tredici. Il mio approccio alla musica è stato molto intenso da subito perché la mia famiglia, i nonni e gli zii, cantavano sempre e nelle feste c'era sempre un piano o una chitarra. La musica è sempre stata una parte integrante della mia vita. I miei genitori mi portavano ai concerti dell'orchestra e quello è stato il momento in cui mi sono innamorata del suo suono e delle sue possibilità sonore. Ero molto piccola e avevo circa tredici anni quando ho pensato che forse mi sarebbe piaciuto dirigere un'orchestra, per la ricchezza del suono e la forza emotiva di un gruppo di persone. Mi sono mesa in cammino senza conoscere il percorso: non era una strada molto chiara per una bambina in Messico. È stato un lavoro lungo: ho studiato innanzitutto composizione all'università, poi sono andata alla Manhattan School of Music dove ho studiato pianoforte e ho ottenuto un master in direzione d'orchestra».
Oggi ci sono già state tante donne direttrici d'orchestra, ma cosa significa riuscire a imporsi in un mestiere che spesso, soprattutto in passato, si credeva che fosse riservato agli uomini?
«Secondo me è un lavoro molto difficile di per sé: ci vuole molto studio, auto-critica e lavoro costante sull'ascolto, sulla gestione delle prove, sul linguaggio corporeo e sulle idee musicali. È una professione molto impegnativa e difficili che può maturare solo con il tempo: credo che non abbia nulla a che fare con il genere, ma con la capacità di sviluppare le proprie abilità. Quando sono sul podio non ho mai pensato di essere una donna: sono Alondra, con la mia parte maschile, la mia parte femminile, la mia immaginazione, i miei genitori, i miei maestri e tutta la mia realtà. Ho bisogno di questo per poter interpretare qualunque personaggio, opera o paesaggio che la musica chieda. Maschile o femminile è lo stesso: siamo artisti e la sensibilità di ogni persona è unica. L'unico momento in cui mi accorgo di essere donna è durante le interviste perché me lo chiedono sempre, ma nella realtà non ci penso mai».
Qual è il filo conduttore del concerto di stasera?
«L'immaginazione ha un ruolo importante: sono opere piene di emozioni. La storia di Sherazade, in una situazione di terrore, ma che sopravvive grazie alla sua creatività, è ancora molto attuale: l'immaginazione e i mondi fantastici che sa creare possono salvarci dalla realtà trasformandola. L'orchestrazione è fenomenale. Danzon è un brano emblematico del mio paese e nel 2019 è stato il più eseguito al mondo, ancora più del Bolero di Ravel. È un'opera preziosa con tanta malinconia e danza al tempo stesso. Il concerto in fa di Gershwin ha molte radici popolari anche latino-americane e anche questa è piena di malinconia e di fantasia».
Come si sta trovando a Parma?
«Sono qui da due giorni e quello che ho visto mi piace moltissimo. Sono felice di esibirmi qui per la prima volta».
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