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Tragedia di San Secondo

La testimonianza del datore di lavoro: «Abdelhakim era il dipendente ideale»

La testimonianza del datore di lavoro: «Abdelhakim era il dipendente ideale»

di Luca Pelagatti

04 Maggio 2025, 09:41

 Safwa ha parlato. Con voce flebile, certo, con la mente straziata dal ricordo di quei momenti in cui l'uomo con cui ha diviso la vita ha infierito su di lei. Ma comunque ha parlato.

La donna tunisina ricoverata in Rianimazione dopo l'aggressione da parte del marito nella loro casa di San Secondo ha riaperto gli occhi, ha ripreso conoscenza. E anche se la prognosi resta riservata i medici che l'hanno soccorsa al suo arrivo al Maggiore ora si concedono un tenue sorriso. Tanto che non si esclude che, nelle prossime ore, possa essere trasferita in un altro reparto per proseguire le terapie.

Il corpo, insomma, sta reagendo. Anche se, è evidente, molto complesso e difficile sarà il percorso per guarire le ferite che non si vedono, quelle della mente, per rimuovere il dolore di una aggressione che resta, comunque, inspiegabile. Oltre che feroce.

Ieri mattina i carabinieri del Reparto investigativo dell'Arma hanno fatto visita alla 48enne che, secondo alcune indiscrezioni, avrebbe confermato che la vita quotidiana con il marito, il connazionale 58enne Abdelhakim Dhahri, non era mai stata avvelenata dalla violenza, dalla brutalità. E questo rende ancora più assurdo quanto è accaduto.

Si, perché, se come hanno detto e ripetuto i vicini da quell'appartamento al secondo piano di borgo Bertani non sono mai arrivati echi di botte e prepotenza, diventa impossibile capire cosa abbia spinto venerdì mattina il marito a colpire la moglie per sette volte: al collo, al torace, al ventre. Insomma, accanirsi per uccidere.

Prima di, è l'ipotesi che continua a resistere e che rende ancora più dolorosa, se possibile, questa storia, lanciarsi a tutta velocità con la propria auto contro un furgone per farla finita.

«Anche per me, per noi, è stata una notizia sconvolgente – racconta il titolare della azienda Metalmeccanica Moderna di Casale di Mezzani dove Abdelhakim lavorava da anni come operaio saldatore. - Di lui posso dire che era il dipendente ideale: corretto, preciso e sempre rispettoso di tutti, una persona che non ha mai alzato la voce, battibeccato con un collega. Anzi: posso ricordare il grande impegno, gli sforzi che ha compiuto per riuscire a fare venire la moglie in Italia, per ricongiungere la famiglia».

Una famiglia, ora, distrutta. I due bambini più piccoli, quelli che subito dopo l'accoltellamento hanno chiesto aiuto ai vicini, sono stati ospitati da una casa famiglia mentre le due figlie più grandi, che erano a scuola al momento dell'aggressione, sono state collocate in una altra struttura.

E se come tutti sperano le condizioni della mamma miglioreranno ancora potrebbero presto andare in reparto a salutarla, a regalarle un abbraccio. Un incontro che probabilmente potrà essere più importante di molte terapie regalando a questa donna, in Italia da poco tempo, la consapevolezza che forse non è tutto finito. Che c'è ancora un futuro.

Nei prossimi giorni, come è logico, non appena la condizioni mediche lo permetteranno, i carabinieri torneranno a sentire Safwa, cercando altri riscontri e conferme, provando a ricostruire i momenti assurdi dell'aggressione, e tentando di capire quali fossero le dinamiche, gli equilibri nella famiglia. E se davvero mai, come detto, in passato lui abbia confuso l'amore con la sopraffazione, usato la violenza al posto delle parole.

Nel frattempo prosegue il lavoro della polizia locale impegnata nei rilievi e nelle simulazioni dopo lo scontro frontale in cui ha perso la vita Abdelhakim. Il resoconto di alcuni testimoni e, soprattutto, il racconto dei due muratori a bordo del furgone contro cui si è disintegrata l'Opel Zafira del marito di Safwa è semplice e raggelante: «E' arrivato verso di noi viaggiando nella nostra corsia, contromano». In quel rettilineo largo e veloce, sulla provinciale, tra il paese e il ponte Faraboli, non c'è stato spazio e tempo per trovare una via di fuga: e sull'asfalto sono rimasti solo rottami e i solchi lasciati dal metallo.

Intanto in borgo Bertani, quel budello alle spalle della chiesa, la casa con l'etichetta Dhahri sul campanello resta chiusa. I carabinieri hanno messo i sigilli e sicuramente per parecchio tempo le finestre dell'appartamento al secondo piano resteranno chiuse. Ma la luce, in quelle stanze, comunque, anche quando tornerà a filtrare non sarà mai più la stessa.

Luca Pelagatti

© Riproduzione riservata

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