MEZZANO INFERIORE
Tutto sembrava appartenere a un'altra vita. Il passato da cui Francesco Riccardi, 62 anni, napoletano, condannato all'ergastolo, si era distaccato: questo raccontava il suo percorso di riabilitazione. Tanto da ottenere nel 2021 l'ammissione al lavoro esterno e alla fine del 2023 la semilibertà. La parabola del detenuto modello. Fino al 6 maggio 2024, quando a Mezzano Inferiore aveva aggredito la compagna, 55 anni, infilandole un coltello nel fianco e versandole una bottiglia d'acido sulla testa, che fortunatamente solo in parte l'aveva colpita. Accusato di tentato omicidio pluriaggravato ed evasione, nei giorni scorsi Riccardi è stato condannato a 20 anni dalla gup Gabriella Orsi, nonostante lo sconto di un terzo previsto dal rito abbreviato. La pm Sara Faina aveva chiesto 14 anni e 8 mesi. Le motivazioni saranno depositate nelle prossime settimane, ma nessuna attenuante è stata concessa, benché la difesa avesse anche provato a chiedere la derubricazione del reato di tentato omicidio in lesioni aggravate.
Quella sera di gennaio la compagna, madre dei suoi due figli, gli avrebbe dedicato poco tempo, perché impegnata ad accudire i gatti. Terribilmente banale, ma sarebbe stato questo il movente di quell'aggressione brutale. Eppure, era una consuetudine per Riccardi raggiungere la donna a Mezzano Inferiore prima di rientrare in carcere. Ma quella sera le aveva infilato una lama di diversi centimetri nel fianco, sotto lo sguardo della figlia, e aveva gettato l'acido: muovendosi nel tentativo di difendersi e divincolarsi, aveva evitato che l'acido le colasse sul volto, benché in un primo momento il pm avesse contestato a Riccardi anche il reato di deformazione dell'aspetto con lesioni permanenti.
Aggredita e abbandonata a terra davanti a casa, mentre le sue grida e quelle della figlia avevano fatto accorrere alcuni passanti e poi i soccorritori. Lui si era infilato in auto cominciando a macinare chilometri. Ma i carabinieri del Nucleo investigativo, insieme ai colleghi di Firenze e Arezzo e con la collaborazione della polizia stradale, qualche ora dopo l'avevano localizzato a Figline Valdarno e poi bloccato nell'area di servizio di Badia al Pino.
Fine corsa. Anche diciott'anni fa Riccardi era «inseguito». Era stato scovato dalla squadra Mobile di Parma a Fornovo nell'aprile del 2007, dopo che era diventata definitiva la condanna all'ergastolo per l'omicidio di Trani, quando, insieme a un complice, aveva ucciso Gregorio Coschiera.
Un sicario della mafia barese, Riccardi, che si era rifatto una vita sulle rive del Taro. Alla metà degli anni '80, a nord del capoluogo pugliese, comandava Salvatore Annacondia, capo della più sanguinosa organizzazione criminale della zona. Il boss che deteneva il monopolio del traffico di eroina e cocaina nell'area di Trani, finché nel 1992 divenne collaboratore di giustizia confessando una settantina di omicidi. «Non mi piaceva lasciare una persona viva. Perché? Perché i morti non parlano», aveva detto in un'intervista alle «Iene». E in quel contesto di conquista del territorio e faide fra famiglie si inseriva l'omicidio di Coschiera, benché Riccardi abbia sempre negato ogni responsabilità. Un omicidio per cui inizialmente era stato arrestato, poi rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame. E la sentenza era diventata definitiva molti anni dopo, quando lui si era creato una famiglia con la compagna. La donna che aveva continuato ad aspettarlo. Anche quella sera di maggio.
Georgia Azzali
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