CONFINDUSTRIA
Una soluzione drastica. «Serve il coraggio di fare tabula rasa e, per quanto riguarda le politiche industriali, di avere una visione a tre anni. Dobbiamo capire dove vogliamo andare come Paese e poi dobbiamo mettere l'industria al centro». Uomo di impresa, di fronte alle crisi Emanuele Orsini chiede alla politica, non solo a quella italiana ma anche a quella europea, di ragionare in fretta e, soprattutto, di assumere decisioni il più velocemente possibile per salvare quella che lui, in qualità di presidente nazionale di Confindustria, definisce «la spina dorsale del Paese», cioè il sistema produttivo.
Ma che cos'è che rischia di mettere in crisi le industrie italiane? Diversi fattori, come emerge dall'intervista di Fabio Tamburini, direttore del Sole 24 Ore, durante le battute conclusive degli Stati generali dell'innovazione ieri, per tutto il giorno, all'Auditorium Paganini. I dazi imposti da Trump (che ora sarebbero però in pausa per 90 giorni con la Cina), il costo dell'energia, la bassa produttività, i mancati investimenti nell'AI e la mancanza di competenze scientifiche tra i giovani: questi, stando a Orsini, gli ostacoli che rallentano la corsa del sistema industriale.
Partiamo dai dazi. «Pericolo scampato?» domanda Tamburini, alludendo alla tregua temporanea con Pechino. «Sarà un pericolo scampato quando, come Europa unita, avremo raggiunto un negoziato con gli Stati Uniti» risponde Orsini.
Gli Usa, per l'Italia, valgono quasi 65 miliardi alla voce export, «sono il nostro secondo mercato», dopo il Vecchio continente, e quindi sono una piazza troppo importante da perdere. «La prima cosa da fare, come Europa - continua il presidente di Confindustria - quindi è raggiungere un negoziato con gli Stati Uniti e poi trovare nuovi mercati». E qui Orsini guarda verso il sud del mondo. «È impensabile che l'Ue non stia pensando ad un voto con il Mercosur. Quello dell'America del Sud sarebbe un grande sbocco per i nostri prodotti. Dobbiamo trovare una reciprocità con questi Paesi». E poi ci sono anche il Messico, dove «abbiamo rapporti ottimi», per continuare con «l'India, ma è fondamentale che si spendano le tensioni con il Pakistan», gli Emirati «dove i nostri prodotti sono accolti molto bene», senza tralasciare «alcuni Paesi africani».
Altro tallone d'Achille, il costo dell'energia. Orsini snocciola i dati. «Il prezzo medio nel 2024, per l'Italia è stato 108 euro, per la Germania 78, per la Spagna 63 e la 58 per la Francia. Il dato parla da solo, ma il costo dell'energia è fondamentale per essere competitivi, perché per i data center, per attirare nuove industrie e per costruire automobili serve energia». E qui Orsini non ha paura di parlare di un tabù. «Il nucleare, almeno parliamone». Applausi dalla sala. «Qui non può esserci qualcuno contrario. Basta guardare la mappa delle centrali nucleari in Europa, sono tutte attorno all'Italia. Anche quei Paesi che pensavano di chiuderle le stanno riaprendo». Orsini propone anche un «mix energetico», chiedendo che «una quota dell'idroelettrico sia data a prezzi agevolati all'industria» e che, per quanto riguarda il fotovoltaico, anche il mondo produttivo prenda un po' di dividendi dopo aver contribuito a foraggiare gli incentivi per i pannelli.
Nella giornata dedicata all'intelligenza artificiale, Orsini non usa mezzi termini per criticare l'Europa: «Un treno lo abbiamo perso. Negli ultimi 10 anni gli Usa hanno investito 330 miliardi, la Cina 100, mentre l'Europa solo 30 miliardi».
La disoccupazione, almeno in questo periodo, non fa paura, «i posti di lavoro non mancano», ma è la produttività a preoccupare. «Non riusciamo ad incrementarla. L'Industria 4.0 ha dato buone risposte alle nostre imprese, perché era facile da applicare, poi è uscita l'Industria 5.0, legata al tema ambientale. Ha lasciato fuori le industrie che usano le fonti fossili, che sono proprio quelle industrie che hanno bisogno di investire». Quindi, che cosa fare? Orsini ha una soluzione semplice: «Salvaguardare le imprese che vanno bene, aiutandole ad andare ancora meglio, evitando di penalizzarle. Al centro delle politiche industriali devono esserci misure facili per sostenere le imprese e incentivare l'innovazione».
Ultima nota dolente per il sistema produttivo: la formazione. «Il gap tra l'offerta formativa e le esigenze dell'industria ci costa 40 miliardi all'anno. Mancano 100mila persone. Dobbiamo sviluppare una mappatura delle necessità delle imprese, perché anche in questa regione si stanno costruendo didattiche fuori uso, mentre non si investe in quelle didattiche che rispondono alle esigenze dell'industria».
Pierluigi Dallapina
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