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Via Marx, il nipote al processo: «Mia zia era depressa, non usciva di casa da 15 anni e lui era esausto. Ma ciò che è accaduto era impensabile»

Via Marx, il nipote al processo: «Mia zia era depressa, non usciva di casa da 15 anni e lui era esausto. Ma ciò che è accaduto era impensabile»

14 Maggio 2025, 03:01

La casa. E il marito. Tutto lì, il mondo di Silvana Bagatti. Il resto dell’universo l’aveva chiuso fuori. E in quell'appartamento è morta, a 76 anni, il 15 maggio dello scorso anno, poco dopo le 8, uccisa dall’unica persona di cui si fidava: Giorgio Miodini, il compagno di una vita, che le ha sparato un colpo di fucile in pancia mentre dormiva. «Silvana ha avuto problemi di depressione già dalla fine degli anni '90. Aveva avuto anche dei ricoveri, poi c'era stato un miglioramento e successivamente un pesante peggioramento. Da almeno 15 anni non usciva di casa, se non per qualche visita medica», spiega il nipote Alberto Miodini davanti ai giudici della Corte d'assise.

Il racconto di un'esistenza che a un certo punto fluttua come sospesa. Il perché resta una domanda a cui probabilmente risponderanno i medici nelle prossime udienze, ma forse tutto nasce da molto lontano. E si intreccia anche con la storia di Alberto Miodini e della sorella Simona, di cui gli zii si erano occupati fin da quando erano ragazzini, dopo la morte dei loro genitori. «Per noi sono state figure fondamentali, ma anche dopo abbiamo continuato a frequentarli con regolarità - sottolinea Miodini, sollecitato dalle domande dell'avvocato Filippo L'Insalata -. Hanno affrontato varie difficoltà, perché hanno dovuto assistere anche la madre di Giorgio e il padre di Silvana: hanno vissuto con loro per vari anni. E poi sono subentrati i problemi di Silvana, con il passare del tempo sempre più pesanti. A un certo punto, anche muoversi per lei è diventato molto difficoltoso. Giorgio ha passato la vita ad occuparsi degli altri, a partire da me e mia sorella».

Un affetto che resiste. Oltre l'omicidio, con quel colpo partito da una doppietta detenuta illegalmente e sparato nella casa di via Marx senza che Silvana potesse tentare una minima reazione. A distanza ravvicinata, visto che la rosa dei pallini non si è espansa, come ha spiegato il luogotenente dei carabinieri Emilio Rolli. Ma anche un delitto premeditato, secondo la procura. Ed è così che si vuole capire chi è Giorgio Miodini, il tassista in pensione, ai domiciliari nella casa di cura «Villa Maria Luigia» di Monticelli. Come si sentisse e cosa abbia fatto soprattutto nel periodo prima dell'omicidio. «Nell'ultimo anno viveva tutto con meno “leggerezza” - dice il nipote -. Lui si occupava di tutto: dalla spesa, alla preparazione dei pasti, alla gestione economica fino alla cura personale della moglie. Mi riferiva di una fatica fisica e mentale, ma purtroppo non ho fatto in tempo ad occuparmene».

Una situazione che pareva sempre più difficile da sostenere. Ma Miodini aveva chiesto aiuto? Domande su cui insistono sia l'avvocato L'Insalata che il presidente della Corte, Maurizio Boselli, oltre che il pm Ignazio Vallario. «Nel mese precedente al fatto si era rivolto a uno psicologo, ma non gli era stato di particolare aiuto - spiega il nipote -. Pochi giorni prima, invece, era andato da uno specialista a Monticelli ed era rimasto piuttosto turbato dalle indicazioni che gli aveva dato. Era scosso perché gli avrebbe proposto di sospendere le terapie di Silvana».

Eppure, i rapporti tra marito e moglie non sarebbero stati conflittuali nemmeno nell'ultimo periodo. «Li avevo incontrati 15-20 giorni prima, ma il dialogo è stato assolutamente sereno», aggiunge. Al nipote era stata data dallo zio anche la delega su due conti correnti bancari, a partire dalla fine del 2023, benché poi non ci sia stata la necessità di operare. Conti che complessivamente erano nell'ordine di «centinaia di migliaia di euro - spiega Alberto Miodini -. Ma escludo che si sia rivolto a figure esterne per un aiuto in casa. Quei soldi erano lì in previsione di un'eventuale casa di riposo, se ce ne fosse stato bisogno».

Lui e lo zio si erano sentiti per l'ultima volta al telefono due giorni prima dell'omicidio. Due chiamate piuttosto lunghe, una di 10 e l'altra di 20 minuti. «Mi ha parlato delle sue difficoltà, ho intuito che era subentrata una “pesantezza” nell'affrontare la situazione. Ma ciò che è accaduto non era nel novero delle cose possibili».

Eppure, Miodini ha sparato. Un unico colpo, senza incertezze. Prima di chiamare la polizia.

Georgia Azzali

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