40 anni dopo
Quarant'anni dopo le ferite sono ancora dolorosissime. Sono quelle di anime divorate. Le immagini della strage dell'Heysel suscitano orrore agli occhi di chi non era nato o di chi era troppo piccolo per ricordare e che quelle scene, atroci, le ha viste solo nei filmati di repertorio. Figuriamoci cosa scatenano in quanti l'inferno di Bruxelles - era il 29 maggio 1985, quarant'anni fa oggi appunto, si giocava la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool - lo vissero sulla propria pelle.
Il settore Z
39 vite spezzate dal cedimento di un muro di contenimento delle tribune che ospitavano i tifosi juventini, dopo che gli hooligans inglesi avevano sfondato le recinzioni del settore Z. «Recinzioni, le hanno definite così.... Era una rete di polli» sospira Stefania Marenghi, parmigiana che all'Heysel c'era. Lei si è salvata per miracolo, nonostante fosse rimasta «incastrata» sotto i corpi senza vita di altri tifosi. Era andata a Bruxelles insieme al suo fidanzato di allora, Rossano Rinaldi, oggi noto dirigente sportivo con trascorsi anche al Cus e al Parma Baseball, e ad una coppia di amici.
Un dramma
Il suo racconto è drammatico. «Ricordo per filo e per segno ciò che accadde, almeno fino a quando non persi i sensi» spiega la donna. «È stato terribile, un giorno che ha cambiato per sempre la mia vita. Potevo esserci anch'io in quell'elenco di vittime». E aggiunge: «Sarebbe bastato un cordone della gendarmeria in mezzo alle due curve confinanti. Da noi non c'erano ultras, ma solo famiglie, giovani coppie, bambini. Io mi trovavo a metà del settore: quando ho visto la calca, la prima cosa che ho pensato è che non sarei assolutamente dovuta cadere per terra. Crollando il muro e con la gente che mi si riversò addosso, mi ritrovai con il collo contro il palo di una transenna. Ero ancora lucida, intravedevo solo le scarpe di Rossano, ma lo sentivo. Poi sono svenuta. Mi è andata bene: lui riuscì a girarmi spostando le persone, ormai prive di vita, che avevo addosso. Sarei morta schiacciata. Ancora oggi mi chiedo come sia stato possibile organizzare una finale di Coppa dei Campioni in quello stadio».
«Impianto fatiscente»
«Un impianto fatiscente - ribadisce Rinaldi -: ricordo una porticina che dava accesso al settore Z. Era strettissima, sembrava una di quelle da appartamento. In vita mia non ero mai andato in curva e mai più ci sarei tornato. Però, sa, eravamo giovani. "Se la Juve va in finale, ci saremo pure noi" ci eravamo detti. E pazienza se di biglietti disponibili ne erano rimasti solo per il settore Z. In ogni caso - fa notare Rinaldi - era una posizione tranquilla, in mezzo a tante famiglie. Gli ultras della Juve erano dall'altra parte. L'unico problema era che il nostro settore confinava con la curva del Liverpool. Molti di loro erano ubriachi. I primi che scavalcarono la recinzione saranno stati quattro o cinque, poi arrivarono tutti gli altri: iniziarono a spintonare gli italiani che si trovavano davanti. Ho avuto subito la percezione che la situazione stesse degenerando. Patrizia e Mauro, i nostri amici, scamparono alla tragedia perché vennero sbalzati sul terreno di gioco. Io mi riparai sotto una specie di transenna: Stefania non la persi mai di vista. Era sepolta sotto un cumulo di corpi. Ho pensato che non ce l'avesse fatta».
I soccorsi
Accanto a Rinaldi c'era un giovane. «Era belga, parlava francese. Mi disse che avremmo dovuto rianimarla». Anche qui il destino ci mise lo zampino, per aiutare Stefania. «Qualche mese prima avevo seguito un corso di primo soccorso: le feci la respirazione bocca a bocca e si riprese. Ci portarono in ospedale. La mamma di Stefania la chiamai da un telefono di quella struttura: la rassicurai, ma in realtà non sapevo quali fossero le reali condizioni della mia ragazza».
Un'odissea, per Stefania, fu anche il viaggio di ritorno. «Chiesi all'agenzia dove avevamo acquistato il pacchetto di poter tornare in aereo: avevo male dappertutto, oltre ad essere sotto choc, non riuscivo a muovere la gamba. Mi dissero che avrei dovuto viaggiare da sola. Ma io avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse. Andai in pullman con gli altri». La riabilitazione è stata lunga e delicata. «Avevo alcune costole rotte, problemi alla gamba. Sono stati mesi durissimi, per fortuna c'era il professor Saginario che mi fece ricoverare a Soragna e mi curò».
I feriti furono oltre 600. A parte Stefania, qualche altro parmigiano rientrò malconcio. Se lo ricorda bene Mauro Bertoncini, attuale presidente dello Juventus Club Parma che non rimase coinvolto negli incidenti. «Mi trovavo in tribuna insieme all'allora presidente dello Juventus Club Rubens Berni. Accanto a noi c'era pure Cestmir Vycpalek, allora dirigente del settore giovanile bianconero. Avevamo organizzato un volo charter e all'indomani della partita saremmo andati a visitare Bruges: dovevano essere tre giorni tranquilli, di festa». Non lo sono stati. Affatto.
Esperienza traumatica
Bertoncini deglutisce spesso, durante la conversazione: segno evidente di un'esperienza traumatica che lo ha segnato. «E chi se le scorda più quelle ore. Dalla tribuna abbiamo assistito impotenti alla tragedia che si stava consumando, proprio sotto i nostri occhi: il muro che veniva giù, la gente che restava lì sotto, altri che fuggivano verso il campo in preda al panico. A un certo punto ci fecero uscire dallo stadio, dissero che la partita non si sarebbe giocata. Ce ne tornammo in albergo, scossi. Le notizie erano ancora frammentarie: non sapevamo se e quanti morti e feriti ci fossero, ma che era una situazione gravissima era a noi tutti ben chiaro. Una volta in albergo - si stupisce ancora adesso Bertoncini - scoprimmo che la partita era iniziata. Qualcuno ci spiegò che era stato necessario farla disputare, altrimenti ci sarebbe stato il rischio di altri incidenti. Ma come fu possibile?» continua a chiedersi.
Le ore precedenti invece erano state tranquille. «Pensi - conclude Bertoncini - che al mattino, girando per le strade di Bruxelles, avevamo incontrato diversi tifosi inglesi: ci eravamo scambiati le sciarpe, sembrava tutto assolutamente normale». Di normale, dopo, all'Heysel, non ci sarà proprio nulla.
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