Verso il Festival della Serie A
Ciro Ferrara domenica al Tardini sarà tra le stelle della sfida di Operazione Nostalgia: le hanno già assegnato il bomber da prendere in consegna come ai bei tempi?
«Pare mi toccherà marcare Bobo Vieri: bene così, si vede che potrò scendere in campo comodamente col sigaro in bocca… (ride, ndr)».
In prospettiva Festival, parlando di serie A con lei non possiamo che partire dallo scudetto del «suo» Napoli.
«Un tricolore che lascia qualcosa di grande, amplificato dall'epilogo stesso di un campionato emozionante e incerto fino all'ultimo. Uno scudetto che il Napoli ha meritato principalmente per due ordini di fattore».
Quali?
«In primo luogo perché è rimasto a lungo in vetta. E poi per il fatto che, anche quando è stato superato in classifica dall'Inter, ha saputo mantenere i nervi saldi, senza accusare il pericoloso contraccolpo psicologico».
Quanti meriti ha Conte in questo trionfo?
«Che Antonio, per la sua storia come allenatore, fosse un valore aggiunto era scontato. Ma che potesse vincere lo scudetto era obiettivamente difficile anche solo poterlo ipotizzare».
Crede abbia fatto bene a restare al Napoli?
«Conte avrà fatto tutte le valutazioni del caso. C'è da dire che la distanza tra il Napoli e le altre big del campionato si è assottigliata. E non poco. Parliamo di un club che, ultima stagione a parte, per quattordici anni è stato l'unico italiano a prendere parte con continuità alle competizioni europee. Il fatto che Antonio abbia deciso di rimanere è indicativo di quanto ambizioso sia, oggi, il Napoli. Con De Laurentiis sembra esserci totale sintonia: sul mercato il presidente è pronto ad assecondare le richieste del suo allenatore, i presupposti per lavorare bene ci sono tutti. Anche l'affetto dei tifosi penso possa aver influito sulla scelta del tecnico di restare. Prima che andasse a Napoli avevamo avuto modo di parlare: ad Antonio avevo detto che mi avrebbe fatto piacere potesse vivere un momento del genere a Napoli. Io so bene cosa vuol dire vincere nella mia città».
L'emozione di uno scudetto a Napoli l'ha vissuta addirittura due volte.
«Porto con me l'orgoglio di appartenere ad una ristretta cerchia di giocatori che hanno vinto due campionati con quella maglia. Fino a poche settimane fa, pensi, eravamo appena in sette. Adesso se ne sono aggiunti altri dieci, tra cui i vari Raspadori, Di Lorenzo, Politano, Rrahmani, protagonisti degli ultimi due trionfi. In generale, siamo una settantina quelli che possono dire di aver vinto almeno uno scudetto a Napoli».
Ciro, com'è vincere a Napoli? Con Maradona poi…
«Unico, speciale, incredibile. Come incredibile, se vogliamo, è la mia stessa storia: quella di un ragazzino cresciuto nel settore giovanile che, a 17 anni, si ritrova in prima squadra col più grande di tutti i tempi. Insieme a Diego abbiamo costruito ciò che a Napoli era semplicemente inimmaginabile. Oltre ai due scudetti abbiamo vinto una Coppa Italia, una Coppa Uefa, una Supercoppa italiana. Si dice che uno la fortuna debba andarsela a cercare e comunque meritarla. Però, di base, ne ho avuta tanta: sono capitato nel momento d'oro del club, di cui sono stato anche capitano. E anche quando ho lasciato Napoli, sono rimasto ad altissimi livelli».
Il Parma, invece, ha avuto modo di seguirlo?
«L'ho visto ad inizio campionato, proprio a Napoli: quella sera, in telecronaca, ricordo di aver fatto più volte i complimenti alla squadra, per l'atteggiamento e per l'idea di gioco. Ne rimasi impressionato. Nel prosieguo di stagione la squadra ha attraversato momenti difficili, subendo qualche gol di troppo. Mi è dispiaciuto anche per come sono andate le cose con Pecchia, che è un amico. In quel momento però bisognava dare una scossa».
E Chivu?
«Ha avuto subito un buonissimo impatto, sia in termini di risultati che di feeling con lo spogliatoio e l'ambiente. Parliamo di un allenatore giovane, ma capace. E che soprattutto conosce il campionato italiano, i giocatori. Non è un vantaggio di poco conto. Faccio un discorso generale, che non riguarda nello specifico il Parma: tante volte i club italiani vanno a cercare gli allenatori all'estero. Per quanto preparati, questi non conoscono le dinamiche del nostro calcio che sono piuttosto complesse. Tornando al Parma, credo che Chivu sia un profilo interessante: in quel frangente è stata la scelta giusta».
È rimasto deluso dalla prova dell'Inter nella finale di Champions?
«Più che altro sono rimasto sorpreso: l'Inter è una grandissima squadra, ma contro il Psg è come se non fosse scesa in campo. Nella partita più importante della stagione, i giocatori non sono riusciti ad esprimere il proprio valore. Capita, per carità: glielo dice uno che di finali di Champions, in carriera, ne ha perse tre. Ma in questo modo e con questa prestazione è davvero incomprensibile. Occorrerà metabolizzare questa sconfitta e ripartire, ora con un nuovo progetto, non sarà semplice».
A proposito, è in atto un valzer di panchine: Inzaghi ma non solo, che ne pensa?
«A parte il Napoli, le altre formazioni d'alta classifica sono praticamente tutte in procinto di avviare un nuovo corso tecnico. È come se tutti avessero fallito i propri obiettivi».
Persino Gasperini sta per dire addio all'Atalanta, dov'era ormai un'istituzione.
«A Bergamo ha compiuto un miracolo, posso capire la sua voglia di trovare nuove motivazioni».
Un'altra sua ex squadra, la Juventus, non vive un momento facile. Anche qui, da dove ripartire?
«Quando ancora giocavo, un anno, con la Juve ci ritrovammo a disputare l'Intertoto. Allora si parlava di rivoluzione. Invece la società mantenne quasi intatta l'ossatura del gruppo, con pochi acquisti e poche cessioni. Alla Juve serve prima di tutto una forte identità di giocatori italiani che abbiano personalità e facciano capire agli altri cosa significhi indossare quella maglia. E non boccerei neppure quelli su cui il club ha investito, da Koopmeiners a Nico Gonzalez, che magari non hanno reso secondo le aspettative. L'importante è che ci sia chiarezza sugli obiettivi: la Juventus deve provare a stare in vetta. Sentir dire che l'obiettivo è andare in Champions stride un po' con la storia e il blasone dei bianconeri».
Vittorio Rotolo
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