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Il Màt Sicuri rivive come detective

Il Màt Sicuri rivive come detective

di Laura Frugoni

10 Giugno 2025, 03:01

Chiedi chi era Màt Sicuri. E ci penserà proprio lui a rinfrescarti la memoria. Sbucato nel buio «senza chiedere permesso», dal cuore di una Parma di cui conosce ogni accogliente marciapiede («borgo Marodolo? borgo delle Colonne? borgo Tommasini? Quale sarà l'anfratto meno freddo per superare questa maledetta notte umida e gelata?»). Chiedi chi era Màt Sicuri. «...io non sono come tanti altri... lindi fuori, ma dentro non riusciranno mai a fare il bucato dell'anima. E se proprio devo fare una doccia calda me la faccio a base di anolini».

Eccolo qui, il barbone per scelta (no, non si sarebbe offeso), il filosofo dei cieli stellati: figura leggendaria di questa città, restituita più viva che mai con l'inseparabile bici ingombra di cartoni, nel libro di Alessandro Fieschi e Andrea Benecchi «Sei piccole osterie - Le indagini di Màt Sicuri» (Kriss editore, 146 pagine, volume in vendita con la Gazzetta a 14 euro più il prezzo del quotidiano). Un romanzo agile e veloce che si legge d'un fiato e se il fiato resta sospeso perché alla base dell'intreccio c'è un vero giallo da risolvere, il sorriso mentre scorri le pagine non si spegne mai per l'ironia leggera che le attraversa.

Freschi e Benecchi ci hanno già abituati a divertenti salti nel nostro tempo di ieri. Insieme hanno già firmato «Generazione Bif» e «Generazione Bagolòn». Questa volta esplorano l'altro ieri: la Parma degli anni Settanta ci ricompare davanti come quinta della storia e per chi si trova «nel mezzo del cammin» sarà una piacevole sorpresa ogni volta ritrovare i volti, gli oggetti, le abitudini quotidiane e tutto un mondo che se ne stava sepolto a dormicchiare in qualche angolo della memoria. La macchina che faceva scendere il gelato «con le onde», i cartoni di Tom e Jerry, il lattemiele, il maledetto duplex sempre occupato, la tv Telefunken, i massaggini sul petto col Vicks Vaporub. Una miriade di tessere di un puzzle rimesse al loro posto dagli autori con una meticolosità stupefacente e una memoria prodigiosa.

Fin qui lo sfondo. Ma, dicevamo, questa storia è un thriller dove c'è un mistero da risolvere: la morte (violenta?) di un ragazzo in cui s'imbatte proprio Màt Sicuri in una delle sue notti randagie. E per dipanare il giallo arriva un commissario di polizia: Pasquale Terozzi, siciliano di Siracusa, pardon Ortigia («mi manca la mia isola, ma quanto mi manca...»), che ovviamente detesta la nebbia padana («fanculo 'sta città di merda piena di umidità e di freddo») e gira su un'Alfasud verde con i sedili in similpelle e tergicrisalli gracchianti. Il destino li mette uno accanto all'altro, il «màt» Enzo Sicuri e il questurino siciliano: due che non potrebbero essere più diversi e difatti all'inizio si guardano in cagnesco, eppure impareranno a conoscersi e a rispettarsi. Di più: il detective Terozzi si ritroverà a dover rendere onore all'acume e al fiuto investigativo del barbone filosofo.

Intorno ai due personaggi principali si muove un'umanità vivace. I personaggi mai dimenticati di quella Parma: ecco Torén, che arriva in Ghiaia pedalando tutto storto sul suo strano triciclo «e le gabbiette piene di colorati cinquettanti». Ecco l'Indossatore con il farfallino e i calzoni alla zuava, lo Sceriffo con la macchina fotografica al collo, Pavlén e le sue barzellette... Volti entrati a loro volta nella leggenda e intorno un mosaico brulicante di artigiani, panettieri, siòre in visone, osti rubizzi e ristoratori pronti a scodellare i «Gran Piatti Parmigiani». Li segui muoversi e dialogare in una dimensione del vivere colorita e genuina, con gli stessi cognomi familiari dei tuoi amici e colleghi di oggi (Pelagatti, Bandini, Campanini...) perché qualcosa, comunque, resta. E tra quel che resta un posto se lo ritaglia anche la nostra Gazzetta, il suo ruolo prezioso (e allora unico) spesso richiamato nelle pagine del libro: perché riportava ogni giorno ai parmigiani fatti e misfatti cittadini e, perché no? per l'utilizzo originale che ne faceva Sicuri, amante di Leopardi ma anche nostro lettore. «Lui le pagine del quotidiano locale le aveva veramente addosso, talvolta, a seconda dell'umidità, o della calura, addirittura tatuate sulla pelle». Un universo che non si sarebbe potuto ricomporre, fedele alla sua essenza, senza quell'ingrediente che dà un sapore inconfondibile: il dialetto parmigiano che puntella i dialoghi, di Màt Sicuri in primis ma anche di tutti gli altri protagonisti e comprimari, perché quella era la lingua più viva e più vera. Il «pramzàn» cesellato nella saggezza dei proverbi, che spesso cozza con il siciliano colorito di Terozzi raddoppiando l'effetto esilarante. Frasi e proverbi riportati nella versione originale (e qui gli autori si sono affidati alla sapienza di Enrico Maletti), puntualmente tradotti a piè di pagina. Un romanzo intriso di una nostalgia sorridente, omaggio a un uomo che fece della libertà il suo vessillo. «Sono amico della notte silenziosa perché qui mi sento vivo, qui parlo con la mia città: è Parma la mia grande amica. Nel mio mondo non c'è ansia, non c'è paura, non c'è rancore».

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