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Anni 1945-'50: quando i parmigiani si sfamavano alle mense pubbliche

Anni 1945-'50: quando i parmigiani si sfamavano alle mense pubbliche

di Lorenzo Sartorio

16 Giugno 2025, 03:01

A metà anni Quaranta, inizi anni Cinquanta, mentre la nostra città si leccava le ferite e contava i morti dei bombardamenti, mentre i monconi di cemento delle case e dei palazzi spiccavano tristemente in tutte le strade sia del centro che della periferia, sorsero numerose mense pubbliche (per altro in funzione anche in tempo di guerra) sia religiose che laiche al fine di offrire ai meno abbienti (ed erano davvero tanti!) la possibilità di consumare un pasto frugale gratuito o per poche lire. Non erano certo i periodi in cui i ristoranti servivano costosi piatti ricamati da chef stellati come ora.

La Mensa di Padre Lino, tuttora attiva presso il convento dell’Annunziata, aprì i battenti seguendo le orme dell’apostolo della carità Padre Lino Maupas che, proprio davanti alla porta del convento, ogni giorno, distribuiva piatti di minestra ai suoi poveri tanto da ispirare Renzo Pezzani a comporre questi immortali versi: «Davanti la cesa di frè al sol al ghe cioca d’istè./ E pur, quand a son’na ‘l mezdì chi è vecc e l’à fama a ven chi». La Mensa di Padre Lino fu ideata dall’indimenticato Padre Calisto Ciavatti, un combattivo e generoso fratone romagnolo il quale, negli anni sessanta, coronò il proprio sogno: ospitare studenti universitari e creare una mensa per i poveri. Altre mense francescane, come ricorda Luigi Vignoli, decano degli scout cattolici parmigiani, furono attive presso il Convento dei Cappuccini in borgo Santa Caterina e nel Convento di San Pietro D’Alcantara, in via Padre Onorio, grazie a Padre Silvestro Monterastelli. Una mensa piccola, anzi piccolissima, quella di Padre Silvestro: una stanzetta con un paio di tavolini che poteva ospitare poche persone ma aperta anche per i pranzi di Natale, Pasqua e feste comandate.

Altre mini mense religiose erano presso la chiesa delle suore Carmelitane Scalze in borgo Felino dove la signorina Onesta della San Vincenzo si occupava per conto delle suore di questo servizio che sfamava una ventina di persone. La stessa cosa succedeva nel Convento dei Carmelitani Scalzi in via Garibaldi, dell’accoglienza e del servizio di mensa si occupava personalmente Padre Sebastiano Maggi raccogliendo tanti bisognosi del quartiere della Trinità. Un’altra piccola mensa era presso i Padri Gesuiti in via dell’Università dove Padre Molin Mose, oltre che passare un pasto, predisponeva un pacco con qualche genere alimentare. In borgo Regale, era attiva la «Pia Casa dei Poveri Mendicanti» in un palazzo che faceva angolo con via al Collegio Maria Luigia. Nel 1923 sorsero, in questo palazzo, gli «Istituti Femminili Raggruppati Regina Elena». Al termine del secondo conflitto mondiale la struttura di borgo Regale venne concessa, provvisoriamente, ad una straordinaria figura di religioso che svolse il proprio apostolato nell’Abbazia di San Giovanni, Padre Paolino Beltrame Quattrocchi che, lì, aprì la Casa del Reduce grazie alla Pontificia Commissione Assistenza di Parma. In seguito la «Pontificia», con la sua «Casa del Reduce», si trasferì in borgo Pipa, in una parte dell’Abbazia di San Giovanni messa a disposizione dai Padri Benedettini mentre la mensa della «Pontificia» si stabili in borgo Retto.

Mense laiche, secondo gli amarcord delle ultime schegge della parmigianità come Walter Grasselli, patriarca dell’Aquila Longhi, Claudio Mendogni, memoria storica della Corale Verdi, Gigètt Mistrali, talismano, con Nicandro Gelati e Adriano Catelli di cose parmigiane, furono, invece, la «Colonica» nella prima sede di via Conservatorio, in seguito in Viale Bassetti (dove ora è ubicato il Teatro Due) ed, infine, in via Costituente molto frequentata dai meno abbienti tanto che ispirò un detto popolare in dialetto per indicare lo stato indigenza di una persona: «povrétt al va a magnär a la Colonica».

Un'altra mensa più che mai laica, ma ben organizzata, fu quella dell’Udi (Unione donne italiane) in via Petrarca molto vicina al Pci.

Altre mense laiche anni Quaranta furono attivate in via Corso Corsi entrando dal portone carraio dell’Ospedale Militare ed in borgo Lalatta all’interno del Convitto Nazionale Maria Luigia. Formalmente esistevano le tessere annonarie, che potevano essere ritirate agli uffici allocati in via Carducci e garantivano razioni, seppur minime, di cibo; tuttavia il commercio in nero dei viveri era all’ordine del giorno. Per tentare di risolvere almeno parzialmente il problema, a partire dalla primavera del 1944, il Dopolavoro provinciale istituì alcune mense «sociali». Ed una di queste, la cosiddetta «mensa dell’impiegato», fu organizzata all’interno del Convitto nazionale Maria Luigia. Il refettorio offriva, a impiegati e dipendenti statali, un pasto al prezzo fisso di 13 lire: i commensali avevano diritto ad un piatto di minestra, ad un secondo con contorno, alla frutta o a una razione di marmellata, se disponibile.

Al sussidio giornaliero erano ammessi anche i sinistrati più poveri: a questi, che dovevano presentare stato di famiglia, certificato di sinistro e di povertà rilasciati dal Comune, venivano offerti pasti dalle 3 alle 8 lire. Un secondo refettorio, aperto a tutta la popolazione e non ai soli impiegati pubblici, fu poi realizzato in Oltretorrente, nei locali della Casa della Madre e del Fanciullo.

A partire dal 13 gennaio 1945, per decreto del Capo della Provincia di Parma, Antonio Cocchi, si attuò la trasformazione dei ristoranti in «mense collettive di guerra», un provvedimento che riguardò tutto il territorio parmense. I ristoratori furono quindi costretti, per legge, a servire i pasti a prezzi calmierati, a seconda della categoria a cui appartenevano. Le mense riservate alle forze armate erano le più care, ma con il pasto più abbondante, 25 lire per «una minestra asciutta o in brodo, un secondo, un contorno, un formaggio, una frutta». I ristoranti che rientravano nella seconda categoria di mense servivano il pasto al costo fisso di 23 lire, mentre nella terza categoria si spendevano 18 lire per avere, in entrambi i casi «una minestra asciutta o in brodo, un secondo, un contorno, una frutta». La quarta categoria era quella delle mense popolari, che somministravano un pasto a 12 lire che prevedeva «una minestra asciutta o in brodo, un secondo, un contorno». Gli orari di apertura andavano dalle 12 alle 14.30 per il pranzo e dalle 18 alle 19.45 per la cena, salvo imprevisti dovuti ai bombardamenti. In un annuncio era scritto: «nel caso di allarme aereo pesante le mense iniziano le somministrazioni 15 minuti dopo il segnale di cessato o limitato pericolo. A Parma vennero messe in funzione una quindicina di mense collettive di guerra e il Dopolavoro poteva decidere in qualsiasi momento se trasformare ulteriori ristoranti o trattorie e gli esercenti dovevano rimanere a disposizione delle autorità. Il servizio continuò anche oltre la fine della guerra. Le mense collettive sorsero presso: Ristorante Button vicolo San Vitale n.4 riservata alle Forze Armate Italo Germaniche 25 lire; Ristorante Coroncina via Volta Alessandro 23 lire; Ristorante Macina via Mistrali 23 lire; Ristorante Principe Piazzale Battisti 23 lire; Ristorante S.Ambrogio via S. Ambrogio 23 lire: Ristorante Roma via Roma 18 lire; Trattoria Concari via Emilia Ovest 18 lire; Ristorante Fontana Piazzale del Carbone 18 lire; Ristorante Libertas via XX Marzo 18 lire; Trattoria Leonida piazzale Inzani18 lire; Trattoria Aurora via Mistrali 18 lire; Trattoria Rossilini via Emilia Est 18 lire; Ristorante Giardinetto borgo S. Chiara n.8 23 lire; Ristorante Toscano via Garibaldi n.9 18 lire; Istituti Femminili Raggruppati borgo Regale n. 24 12- 10 lire; Convitto Maria Luigia borgo Lalatta n.14 12- 10 lire, Casa della Madre e del Fanciullo via Corridoni n. 2 12- 10 lire (Gazzetta di Parma del 17/01/1945).

Infine vi era la mensa Aup, come ricorda un patriarca dell’Aup, l’ avvocato Piero Bazini (animatore di tante feste universitarie alla «Raquette» di via Racagni negli anni Cinquanta), che ospitava in massima parte studenti fuori sede i quali andavano ritirare il loro buono-pasto in via Cavestro.

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