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MONTECHIARUGOLO

Maurizio Vandelli: «Se sei bravo, vieni apprezzato»

Maurizio Vandelli: «Se sei bravo, vieni apprezzato»

di Pierangelo Pettenati

28 Giugno 2025, 03:01

Al Festival Musica Bella che si tiene questa sera alle 21.15 in piazza Mazzini a Montechiarugolo, oltre a Marco Ferradini sarà presente come ospite d’onore, sia in giuria sia sul palco per interpretare alcune sue canzoni, anche Maurizio Vandelli, frontman della indimenticabile Equipe 84, voce di brani storici come «Io ho in mente te», «Tutta mia la città», «29 settembre», presenza immancabile in tutte le trasmissioni televisive dedicate alla musica degli anni ‘60 e ‘70. Modenese di nascita e residenza, ha un’esperienza parmigiana che forse non tutti ricordano o conoscono: «Agli inizi degli anni ‘60 ero in un gruppo che si chiamava Paolo e i Gatti, che allora muovevano i primi passi. Andavamo a suonare nei locali “fighi”, a Cortina d’Ampezzo e in luoghi così. A Felino facevamo le prove generali e mangiavamo del gran salame, poi andavamo a dormire a Sala Baganza».

Ora torna nel parmense a supporto di altri giovani con la voglia di emergere; qual è il suo consiglio per loro?

«Direi di cambiate mestiere. Parlando seriamente, è davvero un mestiere difficile perché non ci sono certezze assolute. Pensi che la tua canzone sia un capolavoro, ma è la gente che stabilisce se quella è una canzone di successo o no. Non puoi decidere di pubblicare una canzone e andare al primo posto. Però, quando succede è meraviglioso, il successo è una cosa meravigliosa, il successo ti dà tante possibilità a partire da quelle finanziarie. Poi se sei un uomo donne a tonnellate e se sei una donna uomini a tonnellate... Il successo è una cosa magica».

È quello che è successo a lei, sia con gli Equipe 84 sia come solista; qual è il segreto?

«Vero, a me è successo tante volte, anche recentemente con un album che ho fatto con Shel Shapiro e che stava andando benissimo, prima che arrivasse il Covid. Io dico che devi essere bravo, perché se sei bravo prima poi quello che fai verrà apprezzato. Ma non bisogna essere troppo bravi altrimenti si corre il rischio di voler dimostrare di essere troppo bravi e rischi di fare cose incomprensibili. Adesso però c’è l’autotune e non c’è più neanche bisogno di essere bravi perché chiunque può cantare».

Le canzoni di allora hanno attraversato i decenni e sono arrivate fino a oggi; c’è un segreto anche in questo?

«Forse i ragazzini non le conoscono, a meno che i genitori non li obblighino a ascoltarle, però sono durate tanto nel tempo e credo che questa sia una stranezza. Non è mai successo né prima né dopo, ma allora c’erano in giro sorrisi e felicità, le cose andavano bene e sono diventate più importanti anche le canzoni».

Quando le scrivevate e le cantavate, sentivate di fare qualcosa di importante anche per le altre persone? Pensavate al messaggio o vi bastava l’entusiasmo e il divertimento?

«L’unica canzone con dentro messaggio che abbiamo inciso è stata “Auschwitz”, che ha una storia particolare perché l’abbiamo messa come lato B di “Bang bang” ma poi dopo ha avuto la sua vita. Nei concerti faccio un minuto di “Imagine” perché in quella canzone c’è un messaggio molto forte ma non in genere le canzoni con i “messaggi” mi sembrano un po’ una ruffianata».

Quindi, per lei qual è il ruolo delle canzoni?

«Le canzoni devono celebrare la vita ed essere un bel momento di condivisione. Adesso che è estate ci sono tutte le canzoni da spiaggia; io, ad esempio, adoro Annalisa perché è una delle cantanti più intonate al mondo e ha deciso deciso di prendere una strada più commerciale. Giorgia, invece, è un genio ma sembra che dell’estate non gliene importi molto, anche se l’ultima canzone è più commerciale, forse perché voleva staccare dal consueto».

Pierangelo Pettenati

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