Intervista al cantautore
Giuseppe Peveri, in arte Dente, sarà giovedì nella suggestiva cornice della Corte Agresti di Traversetolo, con il suo «Santa Tenerezza Tour 2025».
Una data da non perdere, per un viaggio nell’emotività, per non dimenticarci della bellezza del sentire le cose profondamente. Quello da cui prende il nome il tour, per il cantautore fidentino, è un disco di «un’urgenza catastrofica»: «È stato scritto in pochissimo tempo, per una di quelle batoste che succedono nella vita. Fortunatamente ho questa valvola di sfogo molto pacifica di scrivere le canzoni. Ho avuto l’urgenza di farlo uscire sia perché avevo materiale che per far uscire ciò che sentivo».
Come per la nascita del disco, anche il titolo è frutto di una sinergia con il produttore Federico Nardelli: «Il titolo Santa Tenerezza è venuto da Federico. È una frase della canzone “Non ci pensiamo più”. L’ho trovato bellissimo e ho deciso di intitolare così il disco perché aveva un senso su tutto il lavoro. In quella canzone è un’imprecazione che faccio con gli occhi al cielo: dico “Santa tenerezza non abbandonarmi!”, nel senso che spero non mi abbandoni mai questo mio modo di sentire le cose».
Una modalità non bellicosa di vivere la vita, che rende il dolore matrice creativa. Su un futuro in cui la quiete lo diventerà analogamente, Dente ci sta lavorando: «La mia analista ci sta sperando molto! - dice ridendo -. Mi sono infilato in un vicolo cieco, perché per me il dolore è un motore creativo. So che si può creare anche al di fuori di esso, ma per me è molto difficile. È un po’ una condanna, ma ci stiamo provando».
Sul risultato di quel motore creativo, coniugatosi in «Santa Tenerezza», Dente riflette sulla difficoltà del raggiungere la semplicità: «Mi ero prefissato di fare un disco “semplice” da riprodurre dal vivo, come l’”Amore non è bello” (disco ormai cult dell’artista). Ma forse non siamo riusciti a mantenere questa promessa. Oggi, considerando dove è andata la musica, purtroppo, anche grazie alla tecnologia, in studio ci si fa prendere la mano con innumerevoli suoni e strumenti, che poi mancano nei live. Però credo che una canzone come “Non ci pensiamo più”, molto corale, quasi gospel, necessitasse di tutte quelle cose, anche se ai concerti non è possibile mantenerle. Ma io sono convinto che le canzoni, quando vere e sincere, funzionino comunque, anche senza tanti abbellimenti».
Quello di giovedì dunque sarà un appuntamento per non perdere la capacità di emozionarci, elemento cardine anche nel rapporto tra artista e pubblico: «Il disco è fresco quindi dentro ci sono canzoni faticose da cantare, perché molto sentite. Ho fatto un concerto a Reggio Emilia e c’era una ragazza che piangeva disperatamente in prima fila mentre cantava, e io ho pianto con lei. È una cosa molto forte. Sempre a proposito di verità: io quando scrivo mi sento “senza pelle”, e se tu hai scritto una canzone con un’emotività così aperta e poi la rivedi nel pubblico, significa che quella canzone è vera per davvero».
Sofia Piccini
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