BOCCA D'ENZA
A Bocca d'Enza l'idrovora è il Colosseo locale, teatro ormai secolare di duelli tra uomo e piene. Da lì in avanti è golena, Bassa presa in prestito dalle acque ma ancora a più alta densità abitativa del resto della frazione di Sorbolo-Mezzani. Una sorta di «repubblica a sé» per il sindaco. Qui si è ospiti tra un'esondazione e l'altra, le cose più preziose ai piani alti delle case, mentre a livello del suolo si lascia ciò che può essere sacrificato al dio fiume. Oggi come allora, come al tempo dei padri e dei nonni, quando rendere grazie almeno una volta all'anno era un doveroso piacere; quando per celebrare la gioia di vivere insieme bastava sposare torta fritta e spalla cotta su un sottofondo di musiche da ballo.
Perché lasciar morire le cose belle?, si sono chiesti da queste parti. E così, rimboccate le maniche, soprattutto per affrontare i pesi della burocrazia, si è ridata vita alla Festa di Sant'Anna. Fino a quattro decenni fa era il momento di maggiore aggregazione del paese, occasione d'attrazione sul mondo esterno. Ora punta a tornare ad esserlo, dopo qualche anno di «riscaldamento», di numeri in costante crescita (stop da Covid escluso) prima nelle case private, nella corte vicino alla chiesa di Sant'Anna e poi nella parte antistante la bonifica, dopo che il «fortino» sulla frontiera liquida è stato ristrutturato.
«L'idrovora è il nostro monumento, ed è giusto che la festa si tenga qui» esordisce Gianluca Bertoli, 56enne presidente dell'associazione Amici di Bocca d'Enza. Era bambino, quando doveva rincorrere la madre Adriana Artoni, tra le vulcaniche organizzatrici dell'evento, una delle rezdore di corvè ai grandi paioli di rame della torta fritta. E bambino (cinque anni di meno di Bertoli) era Mattia Bianchini, che in vista di Sant'Anna saltava sul rimorchio trainato dal trattore del nonno per raccogliere meloni e cocomeri, altro ingrediente base per il grande appuntamento.
«Anche per loro si usavano quelle specie di bidoni impiegati per la torta fritta: solo che al posto della legna da ardere si metteva il ghiaccio, perché le fette restassero fresche al punto giusto». Era una quarantina d'anni fa. La festa era figlia di una riunione nella casa di Fausto Bianchi. «A sióm ché par fèr la féra ed Boca d'Ensa» (Siamo qui per fare la fiera di Bocca d'Enza) aveva annunciato agli amici convocati con un invito quasi carbonaro. «Fu allora, nel 1980, che nacque la tradizione (o forse fu ripresa da un tempo andato) della Festa nell'aia - prosegue Bertoli -. La bellezza della semplicità e dell'ospitalità: nel podere La Dogana, un rimorchio agricolo faceva da palco per l'immancabile orchestra di liscio, sempre di un certo rilievo, riparata da un tendone Festival: la musica attaccava alle 21, come si legge su un volantino dell'epoca». Quasi implicito che si facesse notte ballando sull'aia. Il mattino del giorno di Sant'Anna, poi, la statua della patrona veniva portata in processione dalla chiesa di Rolli, per benedire il paese e i poderi fino sull'argine dell'Enza, da rabbonire il più possibile.
Per pagare l'orchestra, si organizzava una colletta: il resto era frutto dei campi e della fatica delle famiglie, specie delle matriarche («Qui la parità di genere è storia consolidata» sorridono Gianluca e Mattia), coinvolte nell'evento. Tutto a chilometro zero. E zero era anche il costo per gli ospiti, così come si è deciso che sia anche oggi. «Era la festa di tutti, per la quale si mettevano da parte anche le rivalità politiche, un tempo ben più accese di oggi - racconta Bianchini -. La gente venuta da Mezzani e da fuori affollava perfino l'argine».
C'è passione ed entusiasmo nei suoi occhi e in quelli di Bertoli. E anche la soddisfazione dei «figli d'arte» che hanno mantenuto alto il nome dei genitori: Claudio Bianchini e Fernanda Benecchi per Mattia. Mentre Gianluca, oltre alla madre ricorda il papà Bruno, che partiva nel cuore della notte con il camion, per rientrare nel pomeriggio, a sua volta a disposizione della truppa «de la féra». «Siamo rimasti noi - dice Bertoli -. Gli Amici di Bocca d'Enza possono contare su una trentina di soci. dei quali 14 consiglieri». Molto attivo anche il vice presidente, Stefano Bianchini, figlio di Lino e di Rosetta Fabiani. «Non ha social, ma quando vuole raggiungere qualcuno ci riesce: sarà perché è l'ultimo pescatore professionista del Po. Un anno ha organizzato la festa per un centinaio di persone a casa, friggendo il pesce gatto catturato da lui».
«Siamo cresciuti, anche grazie al patrocinio del Comune e la collaborazione fondamentale della Bonifica, dei circoli Anspi e dell'Avis - dicono i due amici -. Remiamo tutti dalla stessa parte. L'anno scorso abbiamo servito una media di 600 coperti a cena ognuna delle tre sere dell'evento. Mentre a ballare veniva un migliaio di persone. Quest'anno contiamo di fare ancora meglio». Per la prima volta, niente liscio, ma danze con ritmi più da boomer: domani, il primo giorno dei tre della festa, dalle 20 sarà di scena il Marabù; sabato, l'Area 80 to 90 e a seguire il dj set Andrea Carpi; domenica, infine, Spingi Gonzales, tribute band delle cover band. Il cibo? Quello della tradizione (torta fritta, cocomeri...) cucinato dai circoli Anspi, con l'aggiunta di grigliate e tortelli. Della tradizione pure il condimento: dell'amicizia e dell'amore per una sanguigna terra di frontiera. Il tutto tramandato di padre in figlio.
Roberto Longoni
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