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La febbre che fa paura: testimonianze

West Nile, il calvario di chi ci è passato

West Nile, il calvario di chi ci è passato

05 Agosto 2025, 03:02

Se l'allarmismo è controproducente, l'informazione e la consapevolezza dei pericoli può essere una buona arma preventiva. È così anche per il virus West Nile, trasmesso all'uomo dalla zanzara comune, che quest'anno ha causato diverse vittime, specie nel Lazio.

Ma la circolazione del virus è documentata anche nella nostra regione da anni. Nel 2022 sono stati registrati 10 casi positivi, con nessun decesso, nel 2023 i casi sono stati 11 con un decesso. L'anno scorso pure 11 casi, con due decessi. Qualche settimana fa un donatore di sangue (asintomatico) di Parma è stato scoperto positivo al virus ai test prima del prelievo e la nostra provincia è finita nell'elenco delle 31 dove vengono svolti screening più accurati sui donatori per il West Nile.

Tutelarsi dai rischi di contrarre il West Nile è importante (i consigli sul sito regionale www.zanzaratigreonline.it), come insegnano due storie del 2023.

«Due anni fa mio padre, Giorgio Giavarini, all'epoca 83enne, è morto dopo tre mesi di sofferenze per le conseguenze del West Nile, malattia confermata dal Centro di riferimento regionale per le emergenze di Bologna. Nonostante i casi accertati in Emilia-Romagna, alcuni dei quali con esito fatale, nessuno all’epoca ha lanciato un allarme, né a livello sanitario né mediatico» ricorda con amarezza Cristina Giavarini, di Casalbarbato.

«Oggi, nel 2025, se ne parla in tv quasi ogni giorno. Si raccontano storie, si lanciano allarmi. Ma perché due anni fa è stato tutto ignorato? Auspico che da ora in avanti si investa di più nell’informazione, quella vera, chiara, comprensibile a tutti. Nel mio percorso personale, raccontando cosa è successo a mio padre, mi sono resa conto che la maggior parte delle persone non ha idea di quanto questo virus possa essere pericoloso. È fondamentale che la popolazione venga messa nelle condizioni di capire e prevenire, non solo quando è troppo tardi», continua la signora Cristina.

Altrettanto doloroso il percorso di Ivana Brambilla, che ha contratto il virus nell'estate 2023, intorno a Ferragosto, probabilmente (sospetta) punta da una zanzara mentre curava il giardino della sua casa di Borghetto di Noceto.

Dopo una febbre alta e la diagnosi, della guardia medica, di infezione intestinale, la donna è finita il 16 agosto al pronto soccorso dell'ospedale di Vaio, dove i medici hanno subito sospettato il West Nile. Gli esami hanno accertato, come recita il referto ospedaliero con il quale la signora è stata dimessa «encefalite da virus West Nile complicata da verosimile multineurite, tromboembolia polmonare bilaterale».

Ivana ricorda i mesi del ricovero a Vaio come un incubo: «Dolori forti in tutto il corpo, l'impossibilità di muovere braccia e gambe, un'embolia polmonare che mi fece finire in fin di vita in rianimazione, la perdita per giorni di coscienza e lucidità».

Prima dell'infezione la donna, ex cuoca nella scuola materna di Borghetto, aveva 68 anni: «Ero in discreta salute, avevo una vita sociale ricca. D'improvviso ero diventata un relitto».

Dopo 23 giorni di degenza a Vaio, il trasferimento al Don Gnocchi per una lunga riabilitazione: altri due mesi, fino all'8 novembre. «È stato un percorso di cui non si vedeva la fine. A poco a poco ho riacquistato la memoria, ma mi muovevo ancora male. Dopo il Don Gnocchi c'erano accertamenti da eseguire e la fisioterapia. Non mi è stato riconosciuto nulla, tutto a mie spese. Neppure la legge 104 per le mie due figlie, per accompagnarmi a fare le terapie. Ed è arrivato dalla Motorizzazione l'annuncio che mi avrebbero ritirato la patente», ricorda Ivana.

Alla fine - dopo varie cadute e fratture dovute all'impossibilità di camminare correttamente - è arrivata l'invalidità al 60% e anche la possibilità di riottenere la patente per due anni, «a patto che utilizzi un'auto con il cambio automatico. Che per ora non posso permettermi», dice Ivana delusa.

Morale della storia: «All'epoca si parlava di West Nile in molte regioni d'Italia, ma sembrava che a Parma il problema non ci fosse. Alcuni dei medici che ho visto durante il mio lungo calvario, e ai quali ho chiesto perché non si parlasse più spesso del rischio di questo virus e non si mettesse in guardia la popolazione, mi hanno risposto infastiditi che dovevo “smetterla di fare allarmismo”. È stata un'umiliazione che ancora mi brucia».

Monica Tiezzi

© Riproduzione riservata

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