Sorbolo Mezzani
Era conosciuto come «al pescador», aveva una capacità superiore affinata negli anni e nel corso delle generazioni. Stefano Bianchini lo conoscevano veramente tutti nella Bassa, fra Sorbolo e il Po. Di Bocca d'Enza, si è spento nei giorni scorsi a 58 anni, lasciando il figlio Michael, trentaduenne, e la moglie, ma lasciando anche un’immagine estremamente positiva della sua personalità che ha iniziato a emergere fin da bambino.
«Ci siamo conosciuti negli anni Settanta a Bocca d’Enza - afferma Gianluca Bertoli - quando c’era solo il pallone e la bicicletta, niente videogiochi. Eravamo una decina di ragazzi, ci trovavamo tutti i giorni e non c’era estate o inverno che tenesse, né la pioggia o la neve. Il campo da calcio era a casa di Stefano perché aveva più spazio, lo chiamavamo il “Tre noci”. Lui, Stefano, era il capo, il trascinatore. Ci sarebbe tanto da dire su di lui, dovrebbe essere un esempio per tanti».
Bianchini trascorreva la maggior parte del suo tempo lungo canali e fiumi e, soprattutto, lungo il Po. Figlio e nipote di pescatore, il nonno Bianchén è stato l’ultimo pescatore di storioni.
In quella casa di altri temi si parlava di acqua dolce, di lanche, di quei canali dove potevi fare il bagno così, già da bambino, Stefano non poteva che innamorarsi del paesaggio e tutto quel che gli stava attorno. «Leggeva» il meteo, la luce e le condizioni dell’acqua meglio di uno scienziato di fronte ai suoi strumenti. Si adattava al momento e al luogo per pescare, non aveva una tecnica e, allo stesso tempo, le utilizzava tutte per adattarsi a ciò che si trovava di fronte in quel momento.
«Era una passione forte anche nel papà e nel nonno - prosegue Bertoli - ma in lui era ancora più accesa e viva, più forte. Pescava già da bambino poi ha giocato a calcio fino ai 50 anni. Il tempo che dedicava allo sport lo ha poi dedicato ai fiumi. Si alzava presto, faceva un giro nei suoi luoghi preferiti, andava a lavorare e appena rientrava era pronto per la pesca, a volte anche fino a notte. Aveva diverse barche e diverse postazioni in Po, da Torricella a Guastalla, conosceva tutti i piccoli pontili dove tenere l’attrezzatura».
Stefano ha iniziato, come accadeva un tempo, come muratore all’età di quindici anni per passare in Immergas mentre negli ultimi tempi assemblava cucine professionali a Brescello. «Siamo a Bocca d’Enza - disse Stefano Bianchini in un’intervista alla Gazzetta -, questo era un paese di pescatori. Tutti avevano una rete appoggiata al muro di casa. Da piccolo li andavo a vedere, stavo con loro giornate intere. Tiravano su e giù la bilancia. Mio nonno mi ha insegnato alcune cose, quando arriva la pioggia per esempio. Quando il fiume aumenta, è ideale andare a pescare, allora io andavo a vedere se cresceva. Ho cominciato con il bilancino di un metro e mezzo. Andavo nel canale, insieme con il mio amico Massimo Azzi. Con lui siamo fratelli di latte. Sapevamo che non si poteva andare subito in Po, lo sentivamo come una cosa grande».
In quell’occasione Stefano si premurò di chiedere che il giornale ricordasse che c’era troppa spazzatura sul fiume, «chi ci va per una gita o una battuta, deve portarsi a casa i rifiuti». Alla domanda «cos’è il fiume?», rispondeva «Una cosa che senti dentro». Sarebbe andato in pensione a dicembre, Stefano. Aveva già fatto piani da anni per dedicarsi completamente alla pesca, ai canali e ai fiumi. Non ha fatto in tempo, purtroppo, la malattia è arrivata prima.
Silvio Marvisi
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da Centoform
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata