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La tragedia nel Taro

Dauda, arrivato dall'Africa col barcone e annegato in Taro: «Un ragazzo integrato, che parlava 5 lingue»

Dauda, arrivato dall'Africa col barcone e annegato in Taro: «Un ragazzo integrato, che parlava 5 lingue».

di Mara Varoli

15 Agosto 2025, 12:45

Era arrivato col barcone. Dopo tre anni e mezzo di viaggio e tre giorni di mare dalla Tunisia fino a Lampedusa, l'11 agosto del 2023 aveva visto Parma per la prima volta, la città che lo ha accolto e dove avrebbe voluto vivere. 

Dauda Barrie, il ragazzo annegato nel Camicione a Citerna, era un richiedente asilo. Certo, non sapeva nuotare, ma lui era innamorato del fiume: sul suo profilo di Tik Tok ci sono i filmati che nel giugno scorso ha girato in Taro, con il canto degli uccelli, lo scorrere dell'acqua e i riflessi della natura. Un ragazzo bello, sensibile e educato, figlio di un imam. Con la forza nello sguardo. Che però non è bastata per liberarsi dai vortici del fiume, gli stessi che non ti fanno riemergere e stare a galla. Così, dopo essere sopravvissuto al lungo e complicato viaggio della speranza, per crudeltà del destino ha trovato la morte in un fondone del fiume, affogando tutti quei sogni di libertà che gli avevano ridato il sorriso.

Un giovane di 24 anni molto determinato a costruirsi un futuro. Dalla cooperativa Leone rosso fanno sapere che «Dauda era un bravissimo ragazzo, integrato, che ha sempre seguito le regole. Non meritava quella fine».

La cooperativa su richiesta della prefettura assegna gli alloggi ai richiedenti asilo. E Dauda abitava in una casa in viale dei Mille, con altri sette ragazzi: «Tutti gli volevano bene - dicono gli operatori del Leone rosso -. E proprio la mattina di mercoledì era venuto in ufficio per sapere se erano arrivati i risultati della Commissione territoriale sulla sua richiesta di asilo. E poi al pomeriggio è andato in Taro».

Un documento che Dauda aspettava con ansia: con l'asilo politico poteva avere un passaporto sicuro e una vita stabile in Italia.

Era nato a Kenema in Sierra Leone il 14 febbraio del 2001. E a giugno era riuscito a superare l'esame di terza media al Cpia. Dauda non aveva imparato solo l'italiano: parlava la lingua della sua terra, l'inglese, il francese e persino l'arabo. E gli piaceva tanto fare il giardiniere, lavorare in mezzo alle piante e ai fiori per lui era il massimo.

«Dauda era un ragazzo molto intelligente, intraprendente - aggiunge un operatore, molto addolorato per la tragica scomparsa -. Era su un'ottima strada. Probabilmente avrebbe continuato a studiare, ma ora tutti i suoi progetti si sono spenti in quei pochi attimi. Ed è assurdo: dopo tanti sacrifici e dopo aver superato tanti pericoli, è davvero incredibile morire così».

Un dolore che unisce le comunità africane della nostra città e che di nuovo attraversa il mare, per arrivare dritto fino in Sierra Leone, dove vivono il papà, la mamma e la sorella minore. «La volontà della famiglia è quella di ricondurre la salma a Kenema - ricorda l'operatore - e per questo insieme alla comunità della Guinea e alla cooperativa dovremo fare una raccolta fondi: solo così potremo riportare a casa Dauda».

E solo così potrà per un'ultima volta riabbracciare la madre, come forse immaginava in quei filmati postati su Tik Tok, dedicati all'eterno e incondizionato amore per un figlio lontano.

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