Intervista
Gabriella Greison è fisica e narratrice di meccanica quantistica. Scrittrice e attrice teatrale, creatrice di trasmissioni radiofoniche e televisive, è stata capace di creare un filone che non esisteva, grazie ai suoi racconti di fisica romanzata. Giovedì 28 agosto alle 21.30 sarà a Collecchio al parco Nevicati nell’ambito di CamPeace - campeggio internazionale sulla pace aperto ai giovani - in collaborazione con Musica in Castello e Festival della Parola.
Posso chiamarla «prof» o lo trova un termine ormai distante? Del resto, Pier Paolo Pasolini sosteneva che i professori sono quelli che lasciano un segno dentro e lei «in-segna».
«Prof è un titolo archiviato insieme al registro di classe e alle riunioni. Oggi il mio insegnare è raccontare: sui palchi, nei libri, nei podcast, ovunque ci sia qualcuno disposto ad ascoltare una storia di fisica quantistica. Pasolini aveva ragione, chi lascia un segno lo fa in modi diversi: io ho scelto di farlo alla mia maniera. Chiamatemi “la rockstar della fisica”: suona bene anche senza chitarra».
Bene, rockstar della fisica; si è laureata in fisica nucleare con una tesi sullo studio sperimentale della propagazione di elettroni veloci in una camera a vuoto. Ci si aspettava di vederla in qualche laboratorio, invece fa la divulgatrice di successo. Un bel salto dai banchi dell’università al palco dei teatri.
«Ci sono stata, per anni, come in quello dell’École Polytechnique di Parigi. Sembra un salto enorme quello che ho fatto, in realtà è lo stesso lavoro con un pubblico diverso. In laboratorio studiavo il comportamento degli elettroni; ora studio il comportamento delle persone quando racconto la fisica quantistica».
Con tecnologie e metodi diversi.
«Nel primo caso usavo rilevatori e grafici, nel secondo storie e immagini. La meraviglia, se sai dove guardare, è identica».
È stata chiamata a Collecchio in uno spazio aperto ai giovani per riflettere sul concetto di pace. Cosa significa, per lei, pace?
«Una parola che dovrebbe essere usata con la stessa cura con cui Einstein sceglieva un’equazione: senza sprecarla, senza svuotarla di senso. Porterò in scena “Einstein & me” (tratto dall’omonimo libro edito da Salani, ndr), con la voce narrante di Mileva Maric, prima moglie di Einstein e fisica pure lei. La pace è la capacità di scegliere la vita, anche quando hai tra le mani il potere di distruggerla. E soprattutto è una responsabilità, un lavoro quotidiano di consapevolezza e coraggio».
Non trova che sia un termine abusato? Quantomeno stiracchiato di qua e di là a proprio tornaconto?
«Sì, è una parola che ormai viene stirata come un elastico fino a romperlo. Tutti la pronunciano, pochi la praticano. La usano nei discorsi ufficiali, nelle campagne pubblicitarie, persino come slogan elettorale, e così il significato si assottiglia. Le andrebbe restituito il suo peso originario: non è un fiore da mettere all’occhiello, è una scelta faticosa, che richiede coerenza anche quando costa cara».
Ci dica una frase che tutti, i giovani in particolare, dovrebbero tatuarsi.
«La loro equazione di fisica quantistica preferita. Ognuno scelga la propria: chi legge i miei libri, prima o poi, la troverà».
Il suo ultimo libro si intitola «Dove tutto può accadere», per Mondadori. Ce ne può parlare?
«È un viaggio nei luoghi della fisica quantistica, tramite uno dei suoi protagonisti, Paul Dirac, premio Nobel nel 1933, morto a metà degli anni '80, quando le prime applicazioni pratiche della sua teoria stavano nascendo. Racconto il suo vissuto, posti reali, persone che hanno cambiato il mondo con un’intuizione; lo faccio mescolando scienza e storia. E metto insieme i creatori della fisica quantistica: Dirac, Pauli, Schrodinger e Heisenberg; i Beatles della fisica. È un libro che prova a dire una cosa semplice: la fisica non è un mondo lontano».
E visto da un’altra prospettiva.
«Sì, è il nostro mondo visto da un’altra prospettiva. E in quella prospettiva tutto può accadere».
Su cosa sta lavorando di nuovo?
«Sto scrivendo un altro libro, che è come un biglietto di sola andata in un posto dove posso perdermi quanto voglio. Ho una lista di progetti lunga quanto una lavagna di fisica: alcuni sono già in orbita, altri alla fase di esperimento segreto, ma sempre con la missione di far incontrare la scienza con le persone, nei modi e nei luoghi più inattesi».
Ogni tanto, dorme?
«No, non dormo molto».
Durante quel poco che dorme, la rockstar della fisica cosa sogna?
«Ho tanti sogni. Mi piacerebbe che Netflix o Prime realizzassero una serie tratta dalle mie storie di fisica quantistica; niente roba ingessata: col ritmo di un thriller, colpi di scena e la poesia di un romanzo. Dove gli scienziati non stanno solo davanti a una lavagna, ma viaggiano, rischiano, amano, sbagliano. Perché la fisica è già di per sé una sceneggiatura perfetta: basta saperla girare».
Con lei alla regia, naturalmente.
«Con me alla regia, naturalmente».
Cesare Pastarini
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