Solignano
Solignano Un malore improvviso, la corsa verso l’ospedale, il tentativo disperato e senza fortuna dei medici. Ottavio Vecchi, uomo di vino, di grappe, di cibi, se ne andato così, in pochi minuti, senza disturbare e, ci si augura, senza troppo soffrire. Aveva 85 anni, e come sempre, era in giro a proporre e portare i suoi prodotti a ristoratori, osti, salumieri.
Aveva cominciato presto, da quando giovanissimo aveva smesso di aiutare il padre casaro a Vigolante e si era messo a girare per quella che chiamava “l’alta Italia” per costruirsi una rete di conoscenze ed avere buoni indirizzi. Contadini, vignaioli, casari con cui instaurare un rapporto di fiducia, e presto d’amicizia, sotto il segno del fare le cose in modo tradizionale, senza tradire le origini, nel rispetto della autenticità e con tutto il tempo necessario. Li avrebbe fatti conoscere e portati in giro quei vini, quei salumi, quelle grappe, quelle prelibatezze di cui non era il “rappresentante”, perché il rapporto coi loro produttori era diventato così intenso, fatto di impressioni, giudizi, consigli per cui Ottavio Vecchi li considerava ormai come “suoi” e li magnificava, difendeva, ne vantava pregi, ne esaltava le virtù. E raramente sbagliava, perché prima di proporli li aveva assaggiati più volte nel tempo, li aveva scovati seguendo il suo fiuto e indicazioni fidate.
Negli anni ‘60 conobbe Viglione, contadino vignaiolo e grande interprete del barolo tradizionale che lavora senza interventi chimici: la stima reciproca fu immediata e la loro collaborazione non si è mai più interrotta. Ed è Viglione a dirgli che a Neive c’è un signore strano che fa grappa distillando a fuoco diretto: si tratta di Romano Levi che Luigi Veronelli aveva chiamato “il grappaiolo angelico”. Quella grappa rustica, forte, piena d’aroma e sapore vigoroso, unica e particolarissima lo stregò per sempre e da allora, e fino alla morte di Romano Levi, ne fu orgogliosissimo ambasciatore. Allora alziamo un calice a Ottavio.
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