IL CASO
Sempre insieme. Uniti e chiusi nel loro piccolo universo, Antonio e Anna (li chiameremo così). Ma in quel 2020, quando il Covid aveva scavato per tutti distanze profondissime, non avevamo potuto incontrare nemmeno gli unici parenti rimasti: il fratello di Antonio e la moglie che vivevano in Sicilia. Alla fine di agosto, poi, Anna se ne era andata. E Antonio, 90 anni, era un po' scomparso anche lui. Nessun figlio a cui appoggiarsi, solo quel fratello, con cui si sentiva anche più volte al giorno, ma che non riusciva a vedere in quei mesi. Ed è in quel periodo che lei si affaccia nella vita di Antonio: la conosce nella clinica in cui la moglie è ricoverata, perché la donna lavora nella struttura come oss (operatrice socio-sanitaria). E' lei che lo aiuta nel disbrigo delle pratiche per il funerale di Anna e assiste anche lui, quando ha bisogno. E c'è ancora lei nel momento in cui Antonio viene ricoverato e poi muore, il 7 novembre 2020. Ma nel frattempo, secondo l'accusa, riesce ad alterare il testamento olografo di Antonio, diventando così sua erede universale. Il patrimonio? Un po' di soldi, ma soprattutto due appartamenti, uno a Parma e l'altro in Sicilia. Che però verranno sequestrati, dopo l'esposto del fratello di Antonio.
Ma i procedimenti giudiziari, sia sul piano civile che penale, sono ancora in corso. E, l'altro ieri, la donna - 49enne, moldava, residente nel Reggiano - è stata condannata a 1 anno dalla giudice Francesca Merli, che ha dichiarato la falsità del testamento. Il pm Lino Vicini aveva chiesto 8 mesi. La pena è stata sospesa, ed è stata disposta la non menzione nel casellario giudiziale.
Poco più di due mesi era «sopravvissuto», Antonio, dalla morte della moglie. Non riusciva a darsi pace. La scomparsa di Anna era inaccettabile. Sempre più fragile, fisicamente, ma soprattutto dal punto di vista psicologico, tanto che il fratello, su parere del medico di famiglia di Antonio, lo invita a farsi ricoverare: prima nella casa di cura dove lavora la 49enne moldava, poi le condizioni si aggravano, e Antonio viene trasferito al Maggiore, dove muore. Ma già quando è in clinica, il fratello riesce a sentirlo solo un paio di volte, perché poi la donna, che di fatto è diventata anche la sua badante, gli risponde che Antonio «sta male» o che «vuole fare il malato».
In quel momento, tuttavia, il fratello pensa che possano essere giustificazioni plausibili. Ma improvvisamente scopre una realtà diversa. E capisce il perché di quei silenzi. Dell'isolamento di Antonio. Chiamando l'ospedale, per poter organizzare il funerale, il fratello viene a sapere che a tutto avrebbe provveduto un'«amministratrice», ossia la badante moldava, in possesso anche di un testamento già consegnato a un notaio di Parma.
Eppure, quando subito dopo il fratello chiama la donna, lei nulla dice di quel testamento facendo però presente che avrebbe dovuto essere pagata per l'ultimo periodo di assistenza ad Antonio. Ma la telefonata successiva al notaio dissolve ogni dubbio. E conferma quanto era stato comunicato dai medici: quel testamento esiste e designa la 49enne come erede universale dei beni di Antonio. Era stata lei stessa, come poi spiegherà il notaio, a consegnargli una busta chiusa, ritrovata tra le cose di Antonio, in cui all'interno c'era un foglio scritto a mano da Antonio (apparentemente). Il testamento che designava lei come unica beneficiaria dei suoi beni.
In quel momento nella testa del fratello risuonano le parole che Antonio gli aveva detto al telefono poco prima di entrare in clinica: «O frati (fratello, ndr), tutto sarà tuo: stai attento perché attorno ho gli avvoltoi». E così si muove immediatamente, affidandosi a un avvocato. Che presenta un esposto con contestuale richiesta di sequestro. Al centro delle indagini finisce in particolare un passaggio, un po' sgrammaticato, del testamento - redatto apparentemente da Antonio 15 giorni prima di morire - che si conclude così: «... tutto quello che è mio diventa suo (della badante, ndr)». Parole non vergate da lui, secondo il consulente nominato dalla procura. Mentre il grafologo della difesa arriva a una conclusione opposta: «Sono molto sorpreso dal tenore della sentenza e ansioso di leggere la motivazione - sottolinea l'avvocato Daniele Carra - dal momento che il nostro consulente, Alessandro Petraglia, aveva contestato in modo molto efficace le conclusioni del consulente tecnico del pm. Si è pertanto arrivati a una condanna senza che il Tribunale abbia ritenuto di dover nominare un proprio perito».
Insomma, si preannunciano nuovi capitoli della battaglia legale. Per il testamento della discordia.
Georgia Azzali
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