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Valditacca

«Aperti in fiducia»: la locanda in cui ci si serve da soli se l'oste non c'è

Dopo il chiosco, la nuova sfida vinta di Luca e Monica

«Aperti in fiducia»: la locanda in cui ci si serve  da soli se l'oste non c'è

di Chiara Cacciani

15 Febbraio 2025, 12:36

Monchio Una fiducia ripagata, letteralmente e a maggior ragione moralmente: tanto da volersi spingere ancora più in là in un’esperienza che di questi tempi può apparire quasi folle.
Dopo il chiosco delle «Soste senz’oste» pensate per chi fa escursioni in bici e a piedi, a Valditacca ha debuttato anche la locanda che resta «aperta in fiducia»: nelle ore in cui i gestori non ci sono, notte compresa, si può entrare e approfittare della stufa accesa, di tavoli e sedie, della tv, del wi-fi e dei mazzi di carte.
Non solo e anzi, soprattutto: c'è la possibilità di farsi un caffè, spillare una birra o un bicchiere di vino, prendere dal frigo una bibita, tappare la fame con snack dolci o salati oppure fermarsi per recuperare quello che viene definito «la prima sopravvivenza di chi arriva e non ha niente da cucinare», da burro e parmigiano di montagna a pasta e sugo. Unici assenti i superalcolici.
Sul banco ci sono la «Cassetta dell’onestà» con il foro per infilare il pagamento e la sua gemella apribile per prendere un eventuale resto. «Non sono nemmeno imbullonate al tavolo. Lascio le monete e non conto mai niente: ad ora se ne sono ammucchiate due dita - racconta Luca Cavani, che insieme a Monica Battaglioli gestisce la Locanda Centolaghi -. Ci sono le telecamere, dovesse succedere qualcosa si guarda ma è bello sapere che non è mai capitato niente. È questo che ci dà la carica» .

Se l'idea del chiosco era stata pensata per chi d'estate passa e poi riparte, la sua versione allargata alla locanda ha a che fare con chi resta tutto l'anno e con chi potrebbe tornare più spesso. «Nessuno vuol diventare ricco a Valditacca, per noi è prima di tutto un onore vivere qui - spiega - . Se riusciamo a far resistere l'attività e a dare qualcosa in cambio a chi vive nel circondario durante i mesi “morti”, ci fa piacere. Chiunque venga a farti funzionare un locale merita di essere ricompensato».
La chiama la sua «filosofia di comunità» e da quando - come dice - «la fiducia ha preso il sopravvento» tutto accade rapidamente, con naturalezza. Naturale approfittare della originaria ripartizione del locale e delle due possibilità di ingresso per tenerne una parte aperta («la vecchia terrazza dove si ballava e che è stata coperta») per farne uno spazio sempre accessibile, anche senza consumazione. C'è un gruppo di signore che si ritrova regolarmente per la partita a carte, chi va per quella a pallone in tivù, ci sono i ragazzini a fare merenda. «È caldo, c'è tutto: è diventato il classico oratorio senza però a costringermi a stare al banco. Un luogo di incontro dove fare comunella», sorride lui. Che di fronte al successo dell'iniziativa ha già cambiato i bicchierini di plastica con le tazzine da caffè vere, è sempre in cerca di oggetti che facciano sentire a casa e ha già in testa di «dare internet gratuito a tutto il borgo: può darsi che chi ha una seconda casa venga su più spesso, no?»
«È una visione di comunità che vorrei trasmettere ai residenti - continua Cavani -. Qui il fornaio lascia già i sacchetti del pane, lo stesso fanno i corrieri. Mi piacerebbe che nel tempo chi entra si abituasse a rimettere a posto quel che usa, a portar su qualche pezzo di legna: che ci tenessero anche loro, se qui si sentono a casa. Non è detto che ci riesca ma ci provo». Qualcosa di straordinario sta già accadendo: «E se riusciamo a diffondere la fiducia, abbiamo vinto»

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